sabato 21 marzo 2009

La legge di Wilcoyote 5 - La crisi del 29 e la grande depressione

Riassumiamo brevemente gli eventi. Nel 29 la Borsa di Wall Street registrò una serie di perdite, a partire dal cosiddetto venerdì nero, che azzerarono o quasi il valore di molte aziende che contavano di coprire con il portafoglio titoli la propria esposizione verso le banche. Vi erano state avvisaglie, tra il 1918 e il 1929, di quanto poteva succedere, ma proprio il fatto che furono superate creò la convinzione che il sistema fosse solido. Per diversi anni una quantità sempre più anonima di capitale speculativo si riversava in massa su settori dell'economia che promettevano incrementi sostanziosi in tempi brevi e si ritirava altrettanto rapidamente se l'investimento non era stato o minacciava di non essere così remunerativo, mandando in crisi il settore.

Una sorta di isteria finanziaria identica a quella che determina ancora oggi l'andamento della borsa.

Questo denaro non esisteva nel 29, come non esiste oggi, perché autogenerato con la moltiplicazione dei prestiti, come abbiamo visto nel capitolo precedente, per cui non appena si diffuse una certa incertezza su quali settori investire, le vendite divennero irrefrenabili e l'improvvisa mancanza di liquidità bloccò l'intera economia. Molte aziende chiusero, non potendo far fronte agli impegni bancari e perché non riuscivano a vendere i prodotti di cui avevano pieni i magazzini. Le banche fallirono perché non potevano esigere i loro crediti mentre i risparmiatori, diventati disoccupati, ritiravano in massa i loro risparmi per far fronte alle esigenze quotidiane.

Improvvisamente una nazione, gli Stati Uniti, ricchissima di ogni risorsa, non riusciva più a produrre né a consumare nulla. Iniziò un decennio di miseria inspiegabile, tecnicamente chiamata deflazione, i prezzi cioè scendevano sempre più, anche al di sotto dei costi di produzione, ma nessuno era in grado di comprare.

Questo non portò al tracollo generale solo perché l'Europa, uscita dalla prima guerra mondiale, stava in condizioni ancora peggiori e anzi la crisi americana accentuò i problemi europei. La Germania in particolare era appena uscita da una delle più incredibili spirali inflazionistiche mai registrate. Un dollaro nel 21 valeva 81 marchi, meno di due anni dopo ne valeva un milione. Nessuna manovra governativa aveva la minima efficacia. A novembre del 23, l'inflazione finì di colpo e da sola: il Reichmark si era autodistrutto. Il nuovo marco valeva mille miliardi del precedente ed era garantito da beni immobiliari reali.

Il motivo dell'importanza della crisi del 29, per la quale è tuttora oggetto di analisi e fonte di cruccio per quegli economisti tradizionalisti, che si scervellano a trovare giustificazioni per il suo verificarsi e spiegazioni per garantire la sua eccezionalità e non ripetibilità.

Il motivo di tanta ansia è che la crisi del '29 è la prima crisi della storia dell'uomo causata da eccesso di produzione.

L'umanità in millenni di storia ha conosciuto numerose crisi ma tutte erano dettate da carestie, epidemie, cataclismi e disastri ambientali, guerre e invasioni.

Il crollo di Wall Street avviene invece in una nazione prospera ed in pace, proveniente da un secolo di rivoluzione industriale e di crescita galoppante e con la produzione industriale marciante a pieno ritmo. Con la crisi del 29 crollano molti miti e fra i cadaveri rimasti sul terreno ci sono senz'altro sia l'illusione di poter controllare l'economia dall'esterno attraverso provvedimenti legali, sia il suo contrario, cioè che il mercato sia bastante a se stesso e trovi sempre il giusto equilibrio da solo, con la legge della domanda e dell'offerta.

Alla lunga ciò è probabilmente vero, infatti dopo una decina d'anni l'economia si era lentamente rimessa in moto.

Il merito venne attribuito al presidente Roosvelt e al suo programma economico chiamato "new deal", anche se vi è parecchia discordanza su quale fosse la mossa vincente. Roosvelt tentò parecchie manovre, come del resto aveva fatto il suo predecessore Hoover, ma nessuna particolarmente efficace.

In effetti, consciamente o più probabilmente inconsciamente Roosvelt aveva capito che la crisi era solo psicologica, poiché i beni reali e le risorse esistevano come esistevano prima.

Tutta l'economia moderna cammina su una montagna di soldi che non esistono, così come Wilcoyote cammina nel vuoto. Se non se ne accorge va tutto bene.

Da allora la finanza americana cominciò a registrare un dato, chiamato "fiducia dei consumatori", alquanto effimero da rilevare, ma estremamente importante per l'intera economia. Si tratta di stabilire quanto Wilcoyote sia consapevole del vuoto sotto di lui, perché da questo, più che da qualunque altra cosa dipende l'andamento della nazione.

Roosvelt azzeccò il nome del programma, dicendo che gli americani avevano avuto fino ad allora brutte carte in mano e che meritavano una nuova smazzata (a new deal).

Cominciò a rivolgersi alla nazione quasi quotidianamente alla radio in quelle che chiamava quattro chiacchiere intorno al caminetto, dove spiegava i meriti, in realtà quasi inesistenti, dei provvedimenti della sua amministrazione.

Piano piano il Wilcoyote americano cominciò a rivedere il terreno sotto i piedi e l'economia ripartì.

La conclusione sarebbe semplice: in una economia basata su beni irreali questi eventi, con o senza una regia occulta, sono assolutamente inevitabili. Talvolta si riescono a mitigare le conseguenze, talvolta no. Negli anni settanta in Italia ci fu una spirale inflazionistica per la quale venne accusato l'aumento del prezzo del petrolio, in seguito alla guerra dello Yom Kippur del 1973. In realtà la spiegazione è assai debole perché l'aumento, che, detto per inciso, non fu causato dalla guerra arabo-israeliana ma proprio dalla fine della parità aurea, ci fu in tutto il mondo senza che avesse le stesse conseguenze.

La bolla speculativa delle borse nei rampanti anni ottanta terminò di colpo con il crollo del 1987. Allora la cosa venne spiegata con il problema tecnico degli automatismi degli"stop loss". In pratica gli investitori stabilivano a quale cifra minima era opportuno vendere in caso di andamento negativo. I computer dei brokers eseguivano automaticamente la vendita quando la soglia veniva raggiunta. Una azione in discesa che raggiungeva un punto di "stop loss" per una certa quantità di investitori veniva travolta da una massa di vendite che causavano un ulteriore calo che gli faceva raggiungere un altro livello di stop loss, con altre massicce vendite e così via. Anche in questo caso la spiegazione non regge, questi meccanismi c'erano prima e ci sono tuttora. La cosa più allarmante è che il sistema si basa molto sull'isteria collettiva, più o meno pilotata, e come già Keynes notava, bastano eventi favorevoli o sfavorevoli, anche slegati dall'economia, per ingenerare crescite o crolli.

In questo senso la vittoria ai mondiali di calcio del 2006 della nazionale italiana ha sicuramente ingenerato un effetto positivo sul PIL, per quanto assurdo possa sembrare. Del resto, come si è già detto il PIL è già assurdo di suo.

Il fatto è però che questi effetti positivi sono lenti a manifestarsi e in genere di breve durata, mentre quelli negativi sono immediati, devastanti e lunghi ad attenuarsi.

La verità è che in questo sistema di ricchezza finta, questo genere di crisi continueranno ad accadere sempre con maggior frequenza e a periodi di depressione sempre più lunghi si alterneranno periodi di euforia sempre più brevi.

Nessun commento: