domenica 22 marzo 2009

La legge di Wilcoyote 10 - Le tasse e l’evasione fiscale

Il concetto di tassa sembra ormai talmente incrostato nella mentalità delle nazioni occidentali a tutti i livelli che necessita più di una riflessione.

Intanto non è importante quanto lo Stato debba prelevare dalle tasche dei cittadini, l'importante è cosa deve o vuole farci.

Il controllo sull'utilizzo delle tasse e quindi sulla congruità delle medesime è ormai pressoché impossibile per il cittadino medio, che quindi non può che fare riferimento a quanto dicono i partiti politici. Ma i partiti politici, soprattutto in Italia, sono troppo coinvolti, sia perché sono direttamente o indirettamente sovvenzionati proprio dalla spesa pubblica, sia perché sono essi stessi che la gestiscono attraverso le pubbliche amministrazioni che controllano. Non si tratta solo di chiedere al cuoco come si mangia nel suo ristorante: la necessità delle tasse è ferocemente sostenuta da chi ne beneficia maggiormente e che sbandiera la pubblica utilità delle medesime e le ricadute benefiche sulla gente, ricadute sempre filtrate da una burocrazia complessa che costa più dei benefici.

Una delle convinzioni di gran parte della sinistra e non solo di quella, è che le tasse abbiano la funzione di ridistribuire il reddito della nazione. Questa è una pericolosa ed anche pelosa illusione.

Concepire le tasse come una forma di giustizia sociale non può portare che a dannose manovre, visto che chi governa una tale giustizia non è affatto imparziale e disinteressato, né si può sperare che lo sia, la "ridistribuzione" finirà ovviamente per favorire gli amici degli amici. Dare a qualcuno un simile potere è un pericolo per la società e non è affatto una necessità. Lo Stato deve occuparsi di gestire i rapporti fra i cittadini e garantire quei servizi di pubblica utilità che non possono essere privatizzati per antieconomicità o per conflitti di interesse.

Il sistema fiscale, in Europa, è modulato principalmente sul cosiddetto "sistema bismarckiano", dal cancelliere prussiano Otto Von Bismarck, che lo impostò nell'800.

In pratica la protezione sociale è legata al mondo del lavoro, il lavoro diventa elemento centrale dello stato sociale e viene pesantemente tassato come forma di previdenza. Tra i difetti di questo sistema, che forse andava bene nell'800, molto meno oggi, c'è quello di escludere i non lavoratori, minorenni, handicappati, disoccupati, pensionati, dal sistema e di farne quindi delle zavorre sociali.

Un altro difetto è che le tasse gravano principalmente sul lavoro, al contrario di quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti, e quindi si paga per lavorare. E nessuno ci trova niente di strano.

Ma non è questo l'unico modo in cui lo Stato grava sui cittadini, particolarmente nel Bel Paese, dove la fantasia nostrana si grandemente sbizzarrita in campo fiscale.


Le tasse in Italia sono prelevate in maniera così perversa e contorta e mascherate in ogni modo, definite imposte dirette, indirette o tasse sui servizi, che è ben difficile rendersi conto non solo del loro successivo utilizzo, ma persino del loro reale ammontare. Senza contare i prelievi che la pubblica amministrazione effettua sotto forma di multe o sanzioni amministrative, per il mancato rispetto di norme create proprio al solo scopo di estorcere altro denaro alla gente.

Avete mai fatto caso a quante tasse pagate?

Sono "tasse", chiamiamo così tutte le forme di prelievo fiscale per semplicità, non solo le imposte dirette, IRPEF e IRPEG, cioè le tasse sulle persone, quelle che in teoria dovrebbero servire a "ridistribuire il reddito", ma anche i versamenti INPS, INAIL, che dovrebbero essere il corrispettivo di un servizio, così come i francobolli, le marche, le imposte di registro, i parcheggi a pagamento, ecc.. Sono tasse sul consumo l'IVA , l'IRAP, le imposte sui carburanti e sulle sigarette, sui rifiuti, sulle importazioni, il canone televisivo, il bollo auto,. Sono tasse sul risparmio quelle sui depositi bancari e sugli investimenti. Poi ci sono le tasse sulla casa, ICI in testa, che pare particolarmente iniqua se viene applicata alla prima casa. Sono tasse anche il

costo dei servizi pubblici, acqua ,autobus, servizi cimiteriali. Incerta collocazione hanno le spese processuali, che sono comunque prelievi dalle tasche del cittadino. Il termine "ticket", che in inglese vuol semplicemente dire "biglietto" è passato in italiano ad indicare un altro fantasioso balzello.

Non c'è un solo aspetto della nostra vita, dal riposo, al lavoro al divertimento, alla malattia ed alla morte che non sia pesantemente tassato. Persino il gioco d'azzardo è tassato. Quanto alla scuola non ci solo le tasse scolastiche dirette, ma anche il costo dei libri e dei necessari orpelli, sempre più stratosferici che, essendo la scuola obbligatoria, sono di fatto altre tasse.

Aggiungiamo pure le varie forme di richiesta fondi da parte di infinite onlus, associazioni di volontariato non a scopo di lucro. Non sono certo tasse, ma poiché le onlus vanno a coprire carenze dello Stato o a fornire servizi che non vengono forniti, di fatto sono altri soldi che devono essere versati per il funzionamento della collettività.

Non dimentichiamoci delle multe e delle sanzioni amministrative, soprattutto quelle automobilistiche, che talvolta nascondono dietro il concetto punitivo per inadempienza contrattuale, semplicemente un prelievo extra, a sorteggio, per usi di bilancio locale.

A quanto ammonti l'imposizione fiscale in percentuale sulla rendita di un cittadino è oggetto di dibattito, in genere si parla del 50%, ma questo è falso perchè conta solo le imposte sul lavoro, IRPEF e INPS in testa, ed è esclusa l'IVA. Il totale supera certamente il 60%. e forse anche il 70%. Inoltre poiché anche il prelievo fiscale è in qualche modo collegato al PIL ed alle sue distorsioni, il reale peso delle tasse sull'economia e sulla vita quotidiana è tutto da appurare.

Quanto allo spreco delle pubbliche risorse questo viene nascosto dai grotteschi calcoli macroeconomici basati sul PIL e sui principi ad esso collegati e, a sua volta, nasconde il fatto che in realtà il prelievo fiscale ha come scopo principale quello di pagare gli interessi sul debito pubblico, di cui si è già detto.

In effetti gli sprechi e la mala utilizzazione della spesa pubblica, spesso enfatizzati, secondo i principi keynesiani, dovrebbero comunque produrre ricchezza. Le scelte su come utilizzare il denaro pubblico sono squisitamente politiche e certamente degne di rilievo. Per esempio vale la pena di discutere se e quanto sia meglio destinare cifre considerevoli al recupero di tossicodipendenti, e quanto poco invece alle vittime di incidenti stradali. Oppure prendere atto che mantenere in carcere un delinquente costa molto di più alla comunità che mandarlo con tutti i secondini e le loro famiglie a Sharm-el-Sheik, in un hotel a cinque stelle, con corso di sub e gita in cammello compresi. Non menzioniamo poi gli innumerevoli casi di sprechi della sanità e della scuola. Tutto questo è in ogni caso, che si sia d'accordo o meno con Keynes, assai meno grave del fatto, accuratamente nascosto, che gran parte del prelievo fiscale finisce in cassa alle banche, a pagamento di un debito eterno e sempre più grande.

Un'altra considerazione importante è che le imposte dirette pagate dai dipendenti pubblici nonché i versamenti INPS, INAIL ecc ,vengono calcolate nel novero complessivo delle imposte, ma non rappresentano in realtà un vero trasferimento di ricchezza a favore dello Stato, ma semplicemente un minore esborso di spesa pubblica.

Se consideriamo inoltre che la grande industria spesso usufruisce (ed è l'unica a poterlo realmente fare) degli sgravi fiscali e degli altri benefici dei cosiddetti ammortizzatori sociali, possiamo tranquillamente affermare che gli unici che forniscono moneta sonante alle casse dello Stato sono la massa di piccoli commercianti, artigiani, professionisti e piccola imprenditoria in genere, solitamente additati al pubblico ludibrio come evasori e vera causa del malessere economico della nazione.

La caccia all'evasore è infatti sempre più simile alla medievale caccia all'untore che causava le pestilenze. In un sistema tributario stritolante come quello attuale la lotta all'evasione non solo è irrealizzabile, ma è anche controproducente perché gran parte dei contribuenti reali, cioè quelli poco sopra elencati, possono sopravvivere solo dribblando in qualche maniera le normative, e non solo quelle fiscali. Aumentare la stretta non comporta necessariamente un aumento delle entrate, il più delle volte aumenta solo i contenziosi, e causa la chiusura di parecchie attività che stanno a malapena a galla, con conseguente riduzione del gettito fiscale e aumento dei costi sociali.

Eppure è enorme la grancassa che si fa per additare al popolino il nemico nascosto nell'ambulante disonesto o nel tassista esoso, quali cause del tracollo economico. Particolarmente grottesca è stata la polemica, tutta italiana, in seguito all'introduzione dell'euro, volta ad accusare proprio queste categorie degli enormi problemi

economico-finanziari causati alla nazione dal cambio di moneta e soprattutto dalla perdita di possibilità di gestione della medesima. Tutti i partiti hanno scelto o di negare che esistessero problemi o di accusare i venditori di verdura di speculare sul prezzo delle patate e/o le autorità di non aver accuratamente vigilato e perseguito questi cialtroni, affamatori del popolo. Lo stato confusionale in cui vivono ormai gli italiani ha fatto sì che molti ci credessero davvero.

Negli anni sessanta e ancora in parte negli anni settanta era possibile, di tanto in tanto, effettuare una stretta fiscale sul piccolo commercio, perché questo aveva margini abbastanza ampi per sopravvivere. Oggi è talmente schiacciato da imposizioni burocratiche e fiscali, che non può più nemmeno permettersi il lusso di tentare di corrompere i funzionari che accertano i reati. Persino la malavita ha ormai smesso di taglieggiare i commercianti per dedicarsi ad attività più lucrative.

Abbiamo raggiunto una moralizzazione di massa per scarsità di risorse..

Bisogna inoltre considerare il costo per estorcere ai cittadini tutti questi danari, in maniera così farraginosa. Questo costo è anch'esso a carico dei cittadini, che devono pagare degli specialisti per poter pagare correttamente le imposte di cui vengono gravati, basti pensare ai meccanismi contorti delle esenzioni. Nonostante questo resta comunque un costo elevato a carico dello Stato che utilizza decine di migliaia di dipendenti ed enormi risorse per dare la caccia ai famigerati "evasori".

L'abolizione dell'intero Ministero delle Finanze probabilmente darebbe un risparmio molto superiore e certo alle presunte maggiori entrate della cosiddetta lotta all'evasione.

Considerato quello che gli italiani pagano in tasse e in spese per pagare le tasse, possiamo dire di vivere in una forma sociale che, senza essere capitalismo e meno che mai libero mercato, è il capovolgimento del socialismo. Nel socialismo tutti lavorano per lo Stato e lo Stato paga i cittadini, nell'"italianismo", i cittadini lavorano per conto proprio e danno tutti i loro soldi allo Stato.

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