martedì 31 marzo 2009

Vivere senza accendere il ferro da stiro

Vivere senza accendere il ferro da stiro


ferro da stiroVivere senza accendere il ferro da stiro. Certo che si può. Vi racconto la mia personale seconda rivoluzione domestica. La prima fu quella della lisciva, il detersivo autoprodotto.

Si vive benissimo senza stirare. Finita la noia delle ore trascorse a rincorrere piegoline su maglie e camicie. Liberato tempo, risparmiata energia elettrica. E vi garantisco che, dieci minuti dopo averlo indossato, un abito non stirato è esattamente come uno passato e ripassato mezz’ora sotto il ferro. Ecco come si fa.

Per fare a meno di stirare bisogna innanzitutto estrarre il bucato dalla lavatrice appena è finito il lavaggio, o comunque il più presto possibile. Se sta lì, pigiata e bagnata, la roba si spiegazza di più.

Poi bisogna stendere bene. Con cura, insomma, evitando che si formino pieghe. L’operazione richiede qualche minuto. Un tempo comunque di gran lunga inferiore rispetto a quello che si trascorrerebbe a stirare.

Regola fondamentale, usare il più possibile gli attaccapanni per stendere maglioni, felpe e magliette. Rimangono belli in forma.

Poi, tutto il resto non va mai steso a cavallo del filo. Lascia l’impronta, un’antiestetica piega. Se non si usa l’attaccapanni, bisogna accostare le magliette al filo, lasciandole spenzolare giù per tutta la lunghezza, con il collo verso il basso, e piazzare le mollette. Idem i pantaloni, con l’orlo verso il basso. Meglio in ogni caso stendere dal rovescio: a volte le mollette lasciano un’ammaccatura.

Io mi regolo così. Ovvio che questo sistema non dà buoni frutti con le camicette di cotone e i pantaloni con la piega, ai quali la stiratura è indispensabile.

Però basta orientarsi su altri capi d’abbigliamento. Per non rottamare brutalmente le camicette ancora presenti nell’armadio, si possono indossare d’inverno, quando è sufficiente limitarsi a stirare colletto e polsini.

E i pantaloni con la piega? Il loro maquillage sull’asse da stiro può essere ridotto ai minimi termini da una accurata messa in piega serale. A patto di metterli a posto con millimetrica precisione, li si può addirittura collocare sotto il materasso, e dormirci su. Al mattino sono stirati.

Sì, lo so. C’è gente che non può vivere senza stirare, e passa sotto il ferro anche mutande e canottiere. Fate pure, se vi piace. Io mi regolo in tutt’altro modo. E da quando ho spento il ferro vivo più leggera.

domenica 29 marzo 2009

La legge di Wilcoyote 15 - Le gabbie mentali della destra e della sinistra - Conclusioni

In generale si pensa che chi si dichiara di destra sia un tradizionalista, amante della gerarchia, dell'ordine e del merito, tendenzialmente militarista, il tutto condito da un certo machismo. L'uomo di sinistra invece si considera intellettuale, populista e pacifista, assertore della bontà intrinseca dell'uomo.

In realtà entrambi sono prigionieri di schematismi molto simili. All'interno di entrambi i sistemi vi sono persone che necessitano disperatamente di una guida, di un modello da seguire rigidamente, in pratica di qualcuno che pensi per loro.

All'interno di entrambi gli schieramenti vi sono anche persone che si interrogano sul significato delle proprie azioni, senza sentirsi gratificati dall'omologazione con gli altri.

La vera differenza è fra coloro che amano pensare e coloro che amano seguire. Le altre posizioni sono solo di circostanza.

Il pacifismo della sinistra ad esempio è sempre stato sponsorizzato dall'Unione Sovietica, quando esisteva, e quindi indirizzato all'antiamericanismo, sorvolando ad alta quota quindi sulla militarizzazione esasperata della società sovietica. Chi all'interno della sinistra ufficiale, rappresentata in Italia dal PCI, trovava difficile giustificare ad esempio il pugno di ferro dell'URSS in Ungheria e Cecoslovacchia, si scontrava con la posizione del partito riassunta dalla frase attribuita a Togliatti "quando si sta da una parte, si sta anche se non si approva".

Anche all'esterno del PCI il pacifismo cozzava col militarismo rivoluzionario, da Che Guevara alle brigate rosse.

La destra estrema invece non è mai riuscita a simpatizzare con le dittature militari sovietica e cinese, che pure hanno molti tratti in comune con le dittature di destra, culto della personalità compreso. Anche in questo caso solo per motivi di schieramento.

La destra in Italia ha sempre avuto il fascismo come punto di riferimento e non ha saputo produrre un modello alternativo. Il fascismo è stato tutto e il contrario di tutto: è stato rivoluzionario e reazionario, populista e capitalista, monarchico e repubblicano, nazionalista e internazionalista. Mussolini era uno che si fidava del suo istinto e navigava a vista. Morendo ha lasciato orfani e senza guida i suoi epigoni, mentre i nostalgici del comunismo hanno a loro disposizione una voluminosa letteratura, a cominciare dal capitale di Marx, che gli da l'illusione di avere delle basi più solide.

In campo economico le cose sono ancora più complicate. Dopo la caduta del muro di Berlino, il socialismo reale e la sua politica economica programmata risulta morto e, a buon senso, non resuscitabile. Era già ampiamente superato, avendo mostrato tutti i suoi limiti, a chi li voleva vedere, compresa l'illusione che fosse una forma di autogestione del popolo e che l'autogestione del popolo fosse una forma di governo, non solo possibile, ma anche perfetta.

Prima del 1989 il socialismo si contrapponeva al capitalismo, che riteneva che il mercato potesse supplire a tutti i bisogni dell'umanità nel migliore dei modi, essendo un equilibrio ideale delle necessità e capacità individuali.

Il punto è che socialismo e capitalismo sono figli dello stesso padre, il positivismo ottocentesco, e non sono poi così diversi, visto che entrambi accettano la logica demenziale della crescita continua.

Con la caduta del socialismo anche il capitalismo mostra la corda, ma viene salutato come vincitore, non vedendosi possibili alternative ed anche la sinistra deve adeguarsi. I duri e puri continuano a credere, se non proprio nella dittatura del proletariato, almeno nel sol dell'avvenire, ritenendo storpiato il messaggio marxista, dalle varie repubbliche socialiste, URSS in testa. I moderati non si ritengono più rivoluzionari e si sono autodefiniti riformisti. Accettano il libero mercato e ne vagheggiano una forma collettiva, per cui credono nelle cooperative come forma di capitalismo ideale senza padroni.

Ora è innegabile che le cooperative di sinistra abbiano raggiunto traguardi considerevoli in Italia, sono traguardi raggiunti però grazie ad un enorme contributo economico dell'URSS e grazie alla negazione, al loro interno di quei diritti ritenuti sacrosanti dai sindacati nelle aziende concorrenti.

Da un punto di vista ideologico né la destra, né la sinistra hanno molto da teorizzare e vivono di nostalgie di idee passate e di patetici simboli arrugginiti e datati, incapaci di capire perchè non hanno funzionato.

La destra si limita a constatare il fallimento del socialismo e quindi ad accettare le logiche feroci del capitalismo. La sinistra, constatato anch'essa il fallimento del socialismo, s'inventa un improbabile capitalismo popolare. Entrambe si riempiono la bocca della parola "libertà", uno dei concetti più elastici mai creati dalla mente umana, che si adatta ad ogni credo e va bene in ogni circostanza.

I nemici della libertà sono sempre gli altri.

Niente che faccia palpitare cuori adolescenti da gettare oltre l'ostacolo. Il sogno, l'incubo e il delirio di ogni adolescente è quello di trovare un lavoro, ed è l'unica cosa che chiede alla politica. Non sogna più un mondo migliore, vuole un lavoro.

L'ideale di libertà è il lavoro. Arbeit macht frei. Il motto dei campi di sterminio nazisti e la realtà che nascondeva sono il miglior riassunto del mondo moderno e della sua economia.

Un discorso a parte meritano i verdi. Partiti teoricamente col piede giusto, considerare le risorse reali del pianeta più importanti dei valori fittizi della finanza, si sono rivelati subito figli dei luoghi comuni degli intellettualoidi al caviale degli anni sessanta e settanta. Questi figli dei figli dei fiori, con arrogante intransigenza, hanno sposato i modelli economici e politici della sinistra estrema, antiamericanismo e lotta di classe in testa, con la visione della natura di Walt Disney.

Ma quale sarebbe oggi l'economia ideale della sinistra moderata? L'economista James Meade, teorizza un mondo fatto da aziende in parte possedute da soci di capitale e in parte da soci lavoratori che , anziché percepire un salario si spartiscono gli utili. Praticamente delle società in accomandita. Viene poi fulminato dal dubbio che i lavoratori non preferiscano uno stipendio fisso anziché degli utili incerti e risolve la cosa proponendo una entrata extra per i lavoratori garantita dallo Stato.

Ecco riapparire il fantasma delle tasse che ridistribuiscono il reddito.

Come tutti i teorici dimentica alcuni aspetti fondamentali, ad esempio che le aziende, in un libero mercato, possono anche non guadagnare nulla o addirittura PERDERE! e che c'è qualche difficoltà a gestire una azienda di migliaia di persone senza una scala gerarchica (immaginate la FIAT decidere con assemblee di fabbrica il lancio di una nuova auto e quale stabilimento dovrebbe produrla). Inoltre accetta anche lui l'idea di una economia in perenne crescita.

Fare una critica a Meade esula dai nostri scopi, le sue idee devono essere sembrate geniali a qualcuno se gli hanno dato il Nobel nel 1977. Il Nobel in economia però, più ancora che in altri campi, è un concetto politico. Il plauso per Meade e il fatto che per molti rappresenti ancora oggi la terza via tra capitalismo e comunismo, si spiegano con la boccata di ossigeno morale che le sue idee danno a chi non vuole abbandonare la falce e il martello mentre investe in Borsa.

Intendiamoci, Meade e le sue idee sono del tutto sconosciuti alla maggior parte di loro, la cosa che più sorprende è che proprio la sinistra riformista è quella che si presta di più al gioco degli organismi monetari internazionali.

E' giunta l'ora di abbandonare questi schematismi bolliti e ormai insignificanti e creare un'idea sociale ed economica nuova, senza collocazione politica e senza pagare pedaggi ideologici al passato.


Conclusioni

In poche parole possiamo riassumere quanto si è detto:

Molti principi dell'economia sono baggianate.

Il concetto di PIL è una immensa sciocchezza e il fatto che venga preso con grande serietà è solo una truffa colossale di cui molti politici sono complici, talvolta inconsapevoli.

Gli economisti, con la loro boria, non possiedono alcuna scienza esatta, non sono in grado di prevedere il futuro e nemmeno di spiegare gli avvenimenti passati: li mettono insieme in qualche modo cercando di adattarli alle loro teorie, senza riuscirci.

Le politiche monetarie quasi sempre totalmente inefficaci e gli organismi internazionali che dovrebbero stabilizzare le economie sono più che altro associazioni a delinquere, espressioni del potere finanziario, che si arricchiscono generando speculazioni. E' assurdo e criminale che i governi si assoggettino alle loro direttive e ai loro moniti che, con grande saggezza, puntualmente dispensano.

Anche se da una parte blandiscono e dall'altra terrorizzano che i possibili effetti negativi di un loro abbandono, non bisogna credere alle loro bugie: senza il potere della finanza il mondo sarà molto migliore, non peggiore.

La verità è che il mondo intero sta correndo verso il baratro seguendo i loro principi e i loro consigli e non si potrà uscirne senza un bagno di sangue.

E' ora di sbarazzarsene. Il nostro Paese, prima ancora del mondo, ha tutto da guadagnare, non solo dall'uscita dall'Euro, ma anche dall'uscita dal FMI. Senza l'Euro non rischiamo la fine dell'Argentina, come sbandierano i suoi sostenitori.

L'Argentina ha passato i suoi guai proprio perché è stata obbligata dal FMI a legare la sua valuta al dollaro, una moneta su cui non aveva alcun controllo, ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.

Basta crescita infinita e basta gigantismi. Continuiamo a sentirci dire che le imprese devono crescere, come fatturato e come dimensioni, che dobbiamo avere aziende enormi per competere sul mercato internazionale. Questo non è vero, piccolo è bello, lo pensava anche Gandhi, perché consente una distribuzione del benessere a tutti i cittadini e non è controllabile. Per questo i grandi centri di potere, finanza, politici e sindacati cercano di farci credere che sia indispensabile ingigantirsi, incoraggiano le grandi fusioni, nonostante abbiano sempre una ricaduta negativa sull'occupazione e sul benessere diffuso.

Bisogna tornare ad una moneta di proprietà dei cittadini ed è necessario ridurre il potere della finanza sull'economia, per questo bisogna eliminare il miracolo della creazione del denaro dal nulla.

Il sogno di Pinocchio di arricchirsi piantando le monete, arricchisce in realtà solo il gatto e la volpe. La nuova versione di questa storia si chiama Borsa Valori, dove si fa credere che esista una finanza democratica che fa arricchire tutti. Ancora Pinocchio ci porta nel Paese dei Balocchi, dove i gonzi illusi finiscono per ritrovarsi trasformati in asini a lavorare sotto padrone e sotto la frusta per tutta la vita. Le ricchezze dell'Italia sono ancora immense e devono essere a disposizione di tutti, non arricchire la speculazione nazionale ed internazionale.

Se lo stato Italiano emettesse in proprio la moneta, senza cioè indebitarsi con banche private per il disturbo, ce ne sarebbe a sufficienza da coprire le spese pubbliche senza tassare i cittadini e per dare a tutti un reddito base.

Potrebbe lavorare chi vuole, facendo i lavori realmente necessari, non quelli inventati per "creare occupazione". Si potrebbe a questo punto ridurre le spese di amministrazione pubblica, in maggioranza causate dagli stipendi di un esercito di assunzioni clientelari, 5 milioni di dipendenti in gran parte inutili, ed aumentare il reddito base per tutti.

Quanto al capitale straniero, finché esisterà, non solo non ci abbandonerà, ma si precipiterà da noi, un Paese dove non si pagano tasse è sempre estremamente interessante, come dimostrano i vari paradisi fiscali. Anche le nostre esportazioni migliorerebbero, non essendo la produzione schiacciata dagli immensi costi parassitari della pubblica amministrazione e dell'indebitamento con la finanza privata.

Gran parte del lavoro è inutile. Produciamo molto più di quello che ci serve, il che si traduce in una perdita di risorse per il pianeta ed un aumento mostruoso dei rifiuti da smaltire. Nonostante questo non riusciamo a dare lavoro a tutti. Il lavoro in realtà serve solo, per la maggioranza delle persone, ad avere denaro per partecipare ai consumi, ma poichè i consumi devono aumentare in modo vertiginoso per poter fornire utile al capitale e un reddito a chi produce, i soldi non sono mai sufficienti e si vive sempre peggio. Salvo ovviamente una cerchia sempre più ristretta di persone. Lo Stato può e deve fornire i mezzi ai cittadini per poter acquistare i prodotti, superando il concetto bismarckiano di società basata sul lavoro. Il lavoro deve essere svolto su base volontaria e quindi dare benefici a chi lo fa. In questo caso il libero mercato stabilirà quali sono i lavori realmente necessari e in che misura sono necessari, senza traumi per nessuno.

Per quel che riguarda la distribuzione del reddito ed alle politiche economiche bisogna aiutare ed incentivare le piccole imprese eliminando tasse e burocrazia (che è un'altra forma di tassa) e scoraggiare invece le maxi distribuzioni e i gruppi enormi di capitali ed industriali, che vengono oggi invece incoraggiati e sbandierati come necessari all'economia italiana e foraggiati in ogni modo. In questo modo non solo il reddito sarà meglio distribuito verticalmente, ma anche orizzontalmente, cioè sul territorio non essendoci la necessità di concentrare grandi masse di lavoratori in pochi centri.

Le ideologie che si tenta di applicare, comunismo, capitalismo, modello bismarckiano, risalgono tutte all'800, nonostante le apparenti differenze hanno tutte gli stessi difetti e accettano gli stessi principi e portano alla fine agli stessi esiti: pochi privilegiati, molti infelici e devastazioni ambientali. Per non parlare delle deviazioni sanguinarie che hanno scatenato un secolo d'inferno nel '900. Hanno fallito e lo hanno dimostrato in tutti i modi possibili, ma c'è ancora chi ci si aggrappa per mancanza di alternative.

Il capitalismo non è il libero mercato, è solo una dittatura mascherata, è il monopolio privato, assai peggiore del monopolio pubblico.

I partiti della destra e della sinistra non capiscono più nemmeno in cosa si differenziano e sono troppo occupati ad accusarsi a vicenda di mentire sulle cifre più o meno fantastiche della finanza, sul debito pubblico, sul Pil e sulle altre sciocchezze e ad incolparsi reciprocamente di essere la causa dei disastri dell'Italia.

L'informazione ed anche la stessa politica sono pagate dalla finanza, come possono metterne in dubbi i principi?

Gli Italiani non ovviamente non sanno più a chi dare retta e vanno a simpatie personali. Il contrasto è senza senso.

Come uno dei personaggi di "cent'anni di solitudine" di G.G.Marquez, che dichiarava di non giocare a scacchi perché non capiva il senso di una contesa in cui entrambi gli avversari erano d'accordo sui principi, così gli italiani non sanno più in cosa si differenzino i vari partiti.

Tutti parlano dei problemi del Paese e della gente ma nessuno in realtà parla chiaramente delle soluzioni e se ne parla è sempre in termini di "necessari sacrifici".

Sempre per un futuro migliore dietro l'angolo. In genere del futuro migliore si parla in campagna elettorale mentre dei "necessari sacrifici" una volta ottenuto il potere.

Così gli italiani vedono la carota, anche se ci credono sempre di meno, e sopportano le frustate. Se non hanno ancora raggiunto la carota è colpa degli altri, del partito avverso che rema contro, anche se in genere parla la stessa lingua. Gli italiani tirano il carretto cambiando carrettiere e pensano che questo sia inevitabile, sognando magari un giorno di essere tra quelli che frustano.

Qualcuno, travolto dalla disperazione si lascia andare a scorciatoie illegali, gli altri vivono aspettando che il Robin Hood di Lottomatica o Sisal o Snai bussi alla porta.

Invece il futuro migliore è possibile, cominciando a costruirlo da oggi, semplicemente togliendo le risorse alle banche e utilizzandole per le persone.

Bisogna cambiare il sistema economico cosa, tutto sommato, non molto difficile. E' già successo spesso in passato.

Difficile è cambiare l'ottica delle persone ed è per questo che bisogna cominciare da subito a contrastare le balle autoprotettive del sistema finanziario

La legge di Wilcoyote 14 - La globalizzazione e le politiche economiche

Come si è visto ormai il mondo politico è dominato dal mondo finanziario. Gli uomini politici, non solo italiani, devono rendere conto del loro operato alle cosiddette autorità monetarie prima ancora che ai loro elettori. E nessuno sembra trovarci niente di strano. La globalizzazione ha accentuato questo fenomeno. Come l'euro anche la globalizzazione è un falso amico. Viene presentata come libertà di commercio mondiale senza limitazioni. In realtà la libertà di movimento riguarda i capitali finanziari che possono liberamente continuare i loro pazzeschi rimbalzi sui mercati mondiali alla ricerca dell'investimento più fruttuoso, continuando il delirio parossistico della crescita economica irresponsabile già descritto. La globalizzazione ha anche un'altra funzione, mettere tutto il mondo sotto il potere di quell'orrendo padrone che è il mercato finanziario.

I costi produttivi devono essere i più bassi possibili, quindi la produzione si sposta in quei Paesi dove la manodopera costa meno, trasferendosi immediatamente altrove quando questa aumenta. Ovviamente dove ci sono bassi costi di manodopera c'è anche poca capacità di spesa quindi i prodotti vanno venduti altrove e il mercato rende di più. Da qui nasce la necessità della cosiddetta "libera circolazione delle merci e dei capitali".

Quello che succede è un che una massa di denaro, solitamente straniero, inonda un Paese quando vi sono le circostanze ottimali e ne favorisce la crescita, al tempo stesso il valore della moneta di quel Paese viene tenuta bassa, in genere con una forte inflazione, in modo che sia conveniente esportarne le merci altrove. L'inflazione impedisce al Paese di beneficiare realmente dello sviluppo industriale, salvo che ad una ristretta cerchia di speculatori, mentre l'economia si sbilancia. Si sviluppano grandi concentrazioni urbane per produzioni di massa, quasi esclusivamente destinate all'export, di articoli di bassa tecnologia. I prodotti tessili sono quelli che si prestano meglio. Dove vi sono materie prime da sfruttare, agricole o minerarie, si creano grandi latifondi per il loro sfruttamento.

Il risultato finale è una grande quantità di merci di basso costo e spesso uniformi, perché devono adeguarsi alle produzioni di massa, che viaggiano per il mondo dai Paesi produttori ai Paesi consumatori, con grande spreco di combustibili e conseguente inquinamento, invertendo quello che, per millenni è stato il concetto di commercio. In passato infatti, viaggiavano solo merci particolarmente pregiate o introvabili nel Paese di destinazione. Qualunque Paese al mondo è in grado di produrre una maglietta o una forchetta, che senso ha importarle dalla Cina? Avrebbe senso se si trattasse di una lavorazione tipica, raffinata, esclusiva o con materiali poco comuni e quindi se si trattasse di un prodotto costoso. Invece è proprio l'economicità, spesso unita a bassa qualità, a far fare mezzo giro del mondo a questa merce.

L'obiezione, sarebbe meglio dire l'illusione, che prima o poi i Paesi produttori diventano anche consumatori ed alla fine si avrà un bilanciamento, è destituita di ogni fondamento. Un meccanismo che apertamente persegue la crescita continua non può accettare un livello di saturazione, perché è contrario ai principi su cui si basa. Per la finanza i Paesi, quando cessano di essere sfruttabili produttivamente e non assorbono produzione a sufficienza come consumatori, vengono semplicemente abbandonati.

Inoltre la ricerca continua dell'ampliamento del mercato del consumo, porta a individuare produzioni a costi sempre più bassi e con una durata sempre inferiore, vivendo in un delirio di usa e getta, con conseguente enorme problema dello smaltimento dei rifiuti, inquinamento ed impoverimento del pianeta.

Per negare la sua incoerenza e dannosità il sistema si è dato degli organismi di controllo, come il Fondo Monetario Internazionale, che sono, in realtà, al suo servizio.

Il FMI è il principale responsabile del debito dei Paesi poveri dovuto alle politiche monetarie che spesso i governi sono stati costretti a seguire dietro indicazioni del fondo stesso.

Il caso Argentina, come Russia, Indonesia e tanti altri dimostra come siano pelosi gli aiuti del fondo.

Gli economisti, in genere al servizio della finanza e a danno delle persone, continuano a ripetere di padroneggiare la difficile arte del controllo delle attività economiche, attraverso le sottili formule dell'economia politica, dosate con maestria.

Sono solo stupidaggini, gli stessi economisti ammettono ad esempio, che un aumento dei tassi di sconto genera inflazione, mentre una riduzione non causa deflazione..

Osservano la cosa con profonde oooh di meraviglia e coniano l'immagine del carretto tirato con un filo: se si tira il carretto segue, ma se si spinge non accade nulla. Tuttavia non sanno spiegare la cosa, che spernacchia le loro belle teorie. Eppure il mondo intero deve ballare la loro musica, suonata da dotte e ed autorevoli orchestre: il FMI, il WTO, la Banca Mondiale, la BCE, la OSCE, il G7 o G8 e compagnia bella.

I risultati si vedono. Il mondo è più economicamente sbilanciato oggi che cinquant'anni fa e andiamo sempre peggio.

Non bisogna cullarsi nell'illusione di essere al sicuro perché facciamo parte di un Paese industrializzato e quindi di quel sesto di umanità che sfrutta gli altri cinque.

Anche all'interno delle nazioni industrializzate lo squilibrio sociale è sempre più forte. In Italia poi, più che altrove.

Può sembrare sorprendente ma la responsabilità è in gran parte della sinistra che, consciamente o incosciamente, ha fatto del suo meglio per distruggere il tessuto sociale intermedio, creando solo dipendenti statali o di multinazionali, appiattiti in basso per essere "globalmente" competitivi e una ricchissima e ristretta classe dirigente. A margine una quantità sempre crescente di scarti, disoccupati e pensionati.

Questi ultimi considerati una sorta di costosi parassiti che dovrebbero solo spicciarsi a morire.

La legge di Wilcoyote 13 - L'Argentina

L'Argentina merita una menzione particolare per due motivi. E' un caso recente la cui bancarotta ha coinvolto in maniera pesante una massa di risparmiatori italiani, che sono stati letteralmente truffati dalle banche e quindi è ben presente nelle menti degli italiani.

Per questo motivo è lo spauracchio che i sostenitori dell'euro agitano per dimostrare quanto sia protettiva la moneta unica e quanto fortunati siamo a farne parte.

Il secondo motivo è che spiega in realtà molto bene come funzionano certi meccanismi finanziari messi in atto dal Fondo Monetario Internazionale ed è allo stesso tempo un ottimo esempio della cialtroneria delle banche nostrane ed estere.

Quanto è successo con l'Argentina era in passato già avvenuto molte volte, ma non essendoci un coinvolgimento diretto dei risparmiatori italiani, nessuno ci aveva fatto particolarmente caso.

Cosa sia successo è fonte di meraviglia per lo scrittore M.Vargas Llosa che non sa spiegarselo bene.

"Come si spiega che l'Argentina, che ha avuto qualche decennio fa uno dei livelli di vita più alti del mondo e che sembrava destinata, qualche generazione più tardi, a competere con la Svizzera o con la Svezia quanto a sviluppo e modernità, sia retrocessa in questo modo, fino a poter essere paragonata, quanto a impoverimento, a disordine a certi Paesi africani? (…) L'Argentina ha di tutto, dal petrolio a un mare ricco, a una terra fertile che da sola basterebbe per consentire all'Argentina di essere allo stesso tempo granaio e fornitore di tutte le macellerie del mondo. Ha un territorio enorme con una popolazione ridotta e culturalmente omogenea."

Forse tutto questo è venuto improvvisamente a mancare? Per nulla. L'Argentina continua ad essere uno dei Paesi più ricchi del mondo, se per ricchezza intendiamo le risorse del territorio e delle infrastrutture.

La sinistra, come al solito, tenta di buttarla sulla lotta di classe senza saper spiegare un bel niente. E' vero che la pesante, corrotta e sanguinaria dittatura che ha governato il Paese per diversi anni fino al 1983 non gli ha certamente giovato, ma i guai grossi sono successi dopo con il "democratico" Menem e i suoi successori.

Con la dollarizzazione della valuta, il pesante ingresso di capitale straniero e la privatizzazione di molte strutture, l'Argentina entra nel pieno del delirio economico tanto caro ai finanzieri mondiali e con il solito corollario di disastri obbligati: aumento mostruoso della disoccupazione, sbilanciamento delle attività produttive, aumento del debito estero. Al danno si aggiungono le beffe. Gli osservatori del mondo finanziario asseriscono che i guai dell'Argentina sono dovuti alla chiusura dei mercati europei ed USA ai prodotti argentini, soprattutto a quelli agricoli. Insomma non sono abbastanza "globalizzati".

La realtà è un'altra. L'agricoltura argentina è in mano alle multinazionali degli OGM che hanno fatto fallire migliaia di piccoli produttori. Inoltre all'inizio degli anni '90, gli USA e il FMI offrirono un prestito condizionato all'ancoraggio del Peso Argentino al Dollaro, alla totale privatizzazione di banche e servizi, alla rimozione di dazi doganali ed alla liberalizzazione della circolazione dei capitali.

Questo causò il crollo delle esportazioni, a causa del Peso sopravvalutato, l'impossibilità di esercitare politiche monetarie e un incremento delle importazioni di merci a basso costo, che distrussero l'economia produttiva della nazione, con chiusura di fabbriche ed aumento della disoccupazione.

La libera circolazione dei capitali fece affluire la speculazione internazionale, soprattutto i cosiddetti "vulture funds", i fondi avvoltoio specializzati nell'investimento in società fallite o sull'orlo del fallimento, che ottengono enormi profitti dal loro salvataggio o risanamento, generalmente a spese della comunità.

In effetti l'Argentina sembrava un buon affare, grandi risorse e tassi d'interesse molto alti sui titoli pubblici. Per un po' gli avvoltoi hanno guadagnato, ma le progressive svalutazioni reali del Peso, per stare dietro nominalmente al dollaro, con crescendo rossiniano del debito pubblico, portavano la nazione verso l'insolvenza totale. Gli interventi del FMI aumentarono la portata del disastro. Ulteriori prestiti vennero garantiti a condizione che il governo tagliasse la spesa pubblica, soprattutto stipendi e pensioni. Secondo il FMI la produzione sarebbe cresciuta, invece scese ulteriormente. Un successivo prestito di 26 miliardi di dollari fu concesso a condizione che si saldasse in dollari il loro debito, oltre a pagare un premio del 16%.

Gli interessi più il premio arrivarono a 27 miliardi di dollari annui, cioè superarono l'ammontare del prestito.

Sembra una barzelletta ma incredibilmente il governo argentino accettò.

Pagarono 27 miliardi di dollari per avere un prestito di 26. I soldi non transitarono nemmeno virtualmente dall'Argentina e andarono direttamente nelle casse delle banche americane. La diagnosi fu la solita, mancava competitività nelle esportazioni e c'era troppa spesa pubblica.

Anche la cura del FMI era la solita canzone.

Con uno dei soliti diktat degli organismi finanziari internazionali, impose di tagliare la spesa di 7 miliardi di dollari ed aumentare le tasse di 4 miliardi, impossibile per una economia già agonizzante, il cui gettito fiscale si era ridotto a causa della sparizione della classe media e la spesa pubblica era aumentata per cercare di sostenere l'esercito crescente di nuovi poveri.

Quanto ad aumentare le esportazioni, oltre al fatto che solo le multinazionali erano in grado ormai di esportare qualcosa e i loro proventi non arricchivano le casse del governo argentino, da più parti si fece notare che nemmeno un campione del mondo dell'export, cioè il Giappone, era riuscito a risolvere una crisi decennale solo grazie ad esse, figuriamoci come avrebbe potuto l'Argentina. Il diktat aveva come scadenza il dicembre 2002.

Tirava brutta aria anche per gli avvoltoi che, cominciando a temere che gli restasse in mano il cerino dell'insolvenza totale dei titoli, iniziarono a rifilarli ad ignari risparmiatori. Agli inizi del 2002 la situazione dell'Argentina era arcinota agli operatori del settore, ma le banche collocarono tango bonds a tutto spiano a piccoli investitori, spiegando loro che i rendimenti erano convenientissimi e l'investimento solido. In fondo, raccontavano, L'Argentina è uno dei paesi più ricchi del mondo, i titoli sono statali e lo Stato non può certo fallire. Furono soprattutto le banche italiane a farlo, approfittando della scarsa trasparenza in cui potevano, e possono, operare.

Gran parte di questi investitori non rividero i loro soldi perché i 132 miliardi di debiti argentini sono stati rifilati loro dalla finanza internazionale, FMI e avvoltoi in testa, la quale, quando l'Argentina dichiarò l'insolvenza, si lavò le mani della faccenda e lasciò che fossero i fortunati possessori di bond a discutere con il governo argentino.

Improvvisamente fu chiaro che la ricchezza di una nazione non ha niente a che edere con il suo debito pubblico. Chiaro? Come si è già visto il debito pubblico non è garantito da NIENTE. E' carta straccia e vale qualcosa, per la legge di Wilcoyote, solo se qualcuno accetta che valga qualcosa. Inoltre una nazione può diventare insolvente senza che la sua ricchezza venga intaccata. E' successo molte volte nella Storia.

I risparmiatori che sono riusciti a citare le banche, sono riusciti a recuperare qualcosa, gli altri si sono fottuti, passati cinque anni dalla scadenza, i bond sono diventati carta straccia, quello che sono in realtà sempre stati.

Del resto se uno vuole fare un investimento a rischio, deve mettere in conto la possibilità di perdita, giusto? In un mercato evoluto e maturo mica è compito della banca garantire la rendita, giusto? Se volete l'emozione di giocare a fare Paperon de Paperoni con cilindro e palandrana bisogna anche sapersi muovere, giusto? Che diavolo c'entrano le banche, mica possono prevedere quello che farà il governo argentino, tocca agli investitori informarsi su quello che stanno comprando, giusto?

Altroché se è giusto. E' la dura legge del gol finanziario, che gli organismi internazionali ci vogliono imporre. Il cinismo allegato trascura con un certo fastidio il condimento di sangue, disordini, morti e disastri vari che in genere accompagnano queste brillanti speculazioni. In Argentina c'è stata una mezza guerra civile, che si è tentato di spacciare come una faccenda locale.

Quello che è successo in Argentina non è un caso isolato, è già successo molte volte in passato dal Brasile, all'Ecuador, alla Russia e a diverse nazioni asiatiche. Tutte si sono piegate a tutte le richieste del FMI e le loro economie sono andate a picco.

Secondo autorevoli commentatori il neoliberismo del FMI e della Banca Mondiale e la loro capacità di applicare i propri programmi ha considerevolmente contribuito al declino della crescita economica della maggioranza dei paesi a reddito basso o medio.

E hanno già cominciato con quelli ad alto reddito.

domenica 22 marzo 2009

La legge di Wilcoyote 12 - il reddito di cittadinanza

E' un'idea che piano piano si sta facendo strada, in varie forme, nelle teorie economiche più evolute ed esistono anche esempi pratici, sia pure parziali, di applicazione.

Chi si ferma a rifletterci seriamente e non è sciocco o in malafede, si sta rendendo conto che diventerà necessario arrivarci, prima o poi, anche se quest'idea sembra andare contro i precetti che ci hanno insegnato fin da piccoli.

E' un concetto che va contro sia la mistica del lavoro di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, sia contro i deliri del PIL e del debito pubblico di cui abbiamo parlato nei due capitoli successivi, quindi va digerito a bocconi piccoli per evitare un istintivo rifiuto nella maggior parte delle persone.

Ipotizziamo di poter dare una cifra piccola, ma sufficiente ai bisogni elementari a tutte le persone nate nello Stato. Diciamo 500 euro al mese. Questa cifra va data a tutte, dico tutte le persone, neonati e moribondi compresi, indipendentemente dal loro reddito. Un barbone e Berlusconi riceverebbero la stessa cifra, poi vedremo perchè.

Con 500 euro si può vivere senza pretese, soprattutto se non si è obbligati a cercare un lavoro, quindi non è indispensabile avere un'automobile. Due persone con 500 euro ciascuna possono pensare di sposarsi e sopravvivere. Se proprio i soldi non bastano si può fare qualche lavoretto occasionale. Se arriva un figlio con 1500 euro al mese i tre possono farcela e stare al tempo stesso vicino al figlio.

Con un secondo figlio la situazione cambia.

Oggi una famiglia con due figli necessita di due stipendi diciamo 1200 euro l'uno.

Quindi bisogna lavorare in due, avere due macchine, piazzare i figli in qualche asilo o scuola a tempo pieno, mangiare fuori ecc. ecc. I 400 euro in più non bastano a coprire le spese di produzione reddito, come si dice in burocratese, e l'aumento dei costi di gestione della famiglia.

Una famiglia di quattro persone con un reddito di cittadinanza complessivo di 2000 euro ha a disposizione più soldi e più tempo di una famiglia di lavoratori con 2400.

Questa da sola sarebbe la miglior politica per la famiglia al di là di tutti i bla-bla.

Ed ecco le obiezioni, che sono essenzialmente tre:

1. Perchè incentivare i pelandroni?

2. Dove si pigliano i soldi?

3. Se tutti hanno un reddito chi lavora?

Il punto 1 disturba molto chi crede nella mistica del lavoro, che come si è visto è molto radicata a livello sociale e culturale (vedi cap.1) e che considera chi non lavora, minorenni, pensionati, invalidi, disoccupati, casalinghe, studenti, tutti quanti pesi morti, sia pure con sfumature diverse. L'economista americano John Rawles afferma " quelli che fanno il surf tutto il giorno sulle spiagge di Malibu devono trovare un modo per provvedere ai propri bisogni e non dovrebbero beneficiare di fondi pubblici" chiarendo bene come, secondo lui e secondo molti, il lavoro sia una qualifica morale.

Ma è proprio così?

Il pieno impiego è un sogno, o un incubo, sempre più irrealizzabile, così la ricerca del lavoro, qualunque lavoro, diventa un'angoscia, così come angosciante è la paura di perderlo. Nel "sistema bismarckiano" il lavoro è l'appartenenza a pieno titolo alla società, quindi chi non vi rientra si sente un reietto. Gran parte dei disoccupati o sottoccupati attuali, lo è contro la sua volontà, e passa il suo tempo a sbattersi per uscire da questa situazione. Per contro esistono frange di eletti che hanno ottenuto in qualche modo il famigerato posto fisso e , divenuti intoccabili, possono poltrire gran parte del loro tempo retribuito, arroccandosi a difesa dei propri privilegi.

Curiosamente poi Rawles non trova niente di strano se gli sfaccendati di Malibu hanno una rendita da capitale perchè investono in borsa tramite fondi, cioè in pratica non fanno nulla.

Con 500 euro al giorno non si fa del gran surf, nè a Malibu nè altrove, ma tutti quelli che non vogliono o non possono lavorare riescono a sopravvivere, mentre quelli che vogliono davvero fare qualcosa avranno la possibilità di sperimentare diversi lavori fino a trovare quello che gradiscono.

E' chiaro che, per ottenere questo, con l'istituzione del reddito di cittadinanza, va eliminata la sacralità del lavoro. Andranno fatti solo i lavori realmente necessari, e la loro retribuzione sarà proporzionale alla loro effettiva necessità, proprio come si addice ad un libero mercato. I lavori più sgradevoli avranno paghe migliori per allettare qualcuno a farli.

Togliendo di mezzo chi non ha voglia di lavorare, oltre a chi, per vari motivi, non può lavorare, si renderanno disponibili posti di lavoro autentici per chi invece vuole realizzare qualcosa.

Perdere il lavoro non sarà più un dramma per nessuno e le aziende potranno regolare la propria produzione sull'effettivo andamento del mercato, senza l'ansia di dover crescere per "mantenere i livelli occupazionali" e potranno tenere solo il personale migliore o quello che reputano tale.

I lavoratori che, per per qualche motivo, non si trovano bene in una azienda potranno andarsene senza troppo disagio, potendo contare comunque su un reddito minimo e con la quasi certezza di trovare un altro lavoro in breve tempo.

E' per questo che i sindacati non amano il reddito di cittadinanza, che verrebbe ad annullare quasi completamente la loro funzione.

Almeno nella assurda forma che hanno assunto in Italia tre di loro

Insieme alla sacralità del lavoro, andranno eliminati tutti gli alibi sociali. Con i 500 euro al mese viene consegnata, ai maggiorenni ed ai tutori dei minorenni, la piena responsabilità delle proprie azioni. Niente più giustificazioni del tipo "rubo per mangiare". Si deve imporre un rigore morale che attualmente è molto attenuato proprio dall'inconsistenza delle politiche sociali.

Il punto numero 2 è quello che più spaventa chi approva l'idea del reddito di cittadinanza. Sembra infatti impossibile che in questo Stato affamato di quattrini si trovino le risorse per dare a tutti 500 euro al mese. Anche senza la rendita del signoraggio, che da sola eliminerebbe la questione, allo stato attuale vengono distribuiti, da parte di vari enti pubblici quasi mai in accordo tra di loro, una quantità immensa di quattrini in interventi sconclusionati, scoordinati, pasticciati, farraginosi, parziali, a pioggia, casuali, clientelari e via dicendo che comportano un esborso da parte dello Stato non solo per i soldi da dare agli aventi diritto, ma anche per i costi della mastodontica burocrazia necessaria ad individuarli e a perseguire gli abusi.

Proprio per questo motivo il reddito deve esssere distribuito automaticamente a tutti senza preoccuparsi di andare a stabilire quali casi sarebbero realmente degni o più degni. Questa ridicola pretesa di giustizia finisce per creare enormi ingiustizie, come tutti possono facilmente constatare.

L'art 38 della Costituzione recita nei primi commi:

"Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria"

Ci sarebbe molto da dire su questo articolo a cominciare dal fatto che i bambini dovrebbero essere a carico dello Stato, mentre sono a carico delle famiglie e non sono "cittadini"individuali: Del resto nell'epoca in cui fu scritto il reddito familiare e quello individuale spesso coincidevano e una sola persona lavorava con reddito (il lavoro della casalinga, per quanto pesante, non ha alcun valore nel sistema bismarckiano).

Per avere diritto alla pubblica assistenza, quindi bisogna soddisfare due requisisti:

1. Essere poveri

2. Non poter lavorare, pur desiderandolo.

La pretesa di individuare questi requisiti ed eventualmente punire gli abusi comporta un enorme sforzo economico. Inoltre quanto più la selezione è rigorosa ed efficace, tanto più i beneficiari vengono identificati come incapaci di provvedere a se stessi e quindi umiliati.

L'efficacia poi di questi sistemi di individuare le persone veramente bisognose, sia pure umiliandole, è molto molto dubbia

L'italico amore per le complicazioni inutili ha creato norme talmente contorte e incomprensibili che rappresentano una dissuasione oltre che un costo.

Molti infatti non possono beneficiare di contributi perchè si richiede da parte loro un azione, una richiesta, quindi la consapevolezza che esistono degli aiuti in loro favore e l'espletamento dell'inevitabile e assurda burocrazia che li vincola. Molti non riescono ad ottenerli perchè si vergognano, hanno paura delle fregature (giustamente!), perché sono timidi o semplicemente perchè hanno non sanno come fare..

Altri ne sono esclusi per motivi clientelari o politici. Basti pensare alla questione dei cosiddetti"ammortizzatori sociali" di cui beneficiano solo alcune categorie di lavoratori ed in maniera diversa da settore a settore e da circostanza a circostanza.

Se noi mettiamo insieme i soldi che vengono elargiti in lavori socialmente utili, cioè inutili, in assunzioni clientelari (ad esempio le migliaia di forestali in meridione), nel mantenimento di strutture ed infrastrutture di apparati burocratici inutili e spesso dannosi. Mettiamoci anche le spese per attività propedeutiche, che hanno lo scopo di aiutare le persone a trovare lavoro, anzichè a fornire un sostentamento ( in ossequio al proverbio "regala un pesce ad un uomo e lo sfami per un giorno, insegnagli a pescare e lo sfami tutta la vita". Proverbio che ha creato una folla enorme di pescatori affamati, convinti che sia colpa loro se non riescono a mangiare) Aggiungiamo l'importo degli ammortizzatori sociali e degli assegni familiari e ne caviamo abbastanza da dare 500 euro a tutti gli italiani, dalla nascita alla morte. E' importante che la cosa avvenga il più automaticamente possibile evitando l'intervento di partiti e forze politiche che potrebbero annullare i benefici con i soliti favoritismi. Essendo una cosa concessa a tutti nessuno dovrà vergognarsene, non avrà difficoltà ad ottenerla, il costo burocratico della distribuzione e della gestione dei ricorsi sarà vicino allo zero.

Certo non è pensabile di arrivarci in un giorno o una settimana, ma bisogna rendersi conto che è materialmente fattibile, anzi andremo a guadagnarci, evitando molti sprechi pazzeschi fatti con il paravento di dare lavoro al popolo.

Il punto 3

Se i lavori realmente necessari come si è visto in precedenza possono coinvolgere il 30 o 40 per cento della forza lavoro, chiunque voglia un lavoro potrà trovarlo con facilità o relativa facilità. Per fare confronti con il passato bisogna tenere presente che proprio l'escalation innaturale della produzione ha portato alla necessità che entrambi i coniugi lavorino, mentre solo 50 anni fa lavoravano principalmente gli uomini e solo questi ultimi venivano presi in considerazione per calcolare la forza lavoro di una nazione: Il lavoro femminile era occasionale, anomalo e generalmente prematrimoniale.

Se noi avessimo considerato forza lavoro anche il totale delle donne, avremmo avuto un eccesso di manodopera anche negli anni del boom economico. Il reddito di cittadinanza riporta la situazione com'era in passato e senza sessismo. Basta una sola persona per nucleo familiare che lavori, per produrre quanto necessario e per fornire un maggior reddito alla famiglia. Non necessariamente sempre la stessa persona e sempre lo stesso lavoro. Il lavoro, potendo smettere e cambiare quando si vuole, anzichè un incubo potrebbe diventare un piacevole diversivo.

Il rischio semmai è che non si trovi madopera sufficiente per i lavori meno ambiti.

Intanto questi lavori potranno essere pagati meglio dal mercato, per renderli più interessanti con un incentivo economico. Uno spazzino potrebbe guadagnare quanto un dottore e non dovrebbe più chiamarsi "operatore ecologico" per raccattare un po' di dignità, mentre chi fa il dottore lo farebbe proprio perchè gli piace e gli interessa e non per i soldi.

Certamente gli incentivi economici non possono essere più alti di tanto e non possono risolvere completamente il problema, a questo punto però si possono sfruttare due importanti risorse.

Una è il servizio civile. Uomini e donne per un anno o anche due prestano servizio pubblico. Non essendo un servizio militare quasi tutti possono essere abilitati. Il servizio verrebbe gestito localmente a livello comunale o provinciale senza bisogno di strutture o di caserme e salvo casi eccezionali le persone dormirebbero e mangerebbero a casa loro. Oltre un milione di persone l'anno sarebbero così disponibili per i lavori più umili e più faticosi, il che rappresenterebbe oltretutto una importante esperienza di vita.

La seconda è la popolazione carceraria, attualmente passiva e a carico dello Stato, che potrebbe in gran parte essere impiegata per lavori di pubblica utilità, rendendo il carcere meno abbietto. Inoltre chi viene condannato, verserebbe il suo reddito di cittadinanza e una percentuale di ciò che guadagna lavorando a favore delle sue vittime e potrà sperare di accorciare la pena solo quando avrà interamente risarcito l'importo stabilito dal giudice. Attualmente la maggior parte delle vittime di reati non viene indennizzata per mancanza di mezzi del colpevole

In conclusione il reddito di cittadinanza, distribuito in maniera imparziale e a tutti, non è una assurdità, non è impossibile, non è immorale e risolverebbe moltissimo problemi.

Basti pensare con quanta semplicità si risolverebbe il problema delle pensioni, senza complicati e farraginosi sistemi di calcolo, scalini, scaloni ed altre definizioni azzeccagarbugliesche. Si ipotizzano ridicoli incentivi per fare restare le persone al lavoro insieme ad altri incentivi per prepensionarle, in una confusione che la dice lunga sulla chiarezza dei programmi. Le persone sarebbero in pensione da sempre con la possibilità di rientrare al lavoro quando vogliono, avendo anche l'opzione di aggiungere forme di risparmio intergrative a piacere.

L'errore nascosto semmai è quello di voler cercare di individuare i bisogni e stabilire, con contorte elucubrazioni e tabelle pitagoriche, chi sono le persone realmente bisognose, generando assurde classifiche e graduatorie.

Lo si fa già adesso: non funziona. I poveri non vengono raggiunti e i furbi ne approfittano

La legge di Wilcoyote 11 - Il libero mercato

Uno dei grandi equivoci su cui si basa lo sconforto e la confusione delle persone è che il libero mercato e il capitalismo siano la stessa cosa. Così o si accetta il comunismo, cercando di convincersi che il suo fallimento sia dovuto solo ad una cattiva applicazione pratica della teoria marxista oppure si sposa il gigantismo e il cinismo spietato dell'accumulo di denaro. Tertium non datur.

Non è così.

Le grandi ideologie economiche del XIX e XX secolo, l'economia di mercato e l'economia socialista, si assomigliano molto più di quanto i loro fautori siano disposti ad ammettere.

La prima sostiene che il mercato sia in grado di regolarsi da sé, stabilendo il prezzo ottimale di ogni prodotto o servizio in base alla domanda ed all'offerta che c'è del medesimo.

La seconda prevede che le necessità del popolo vengano decise in anticipo da assemblee collettive sempre più ristrette. L'apparato burocratico che richiede la seconda soluzione e l'impossibilità di apportare correzioni efficaci e rapide ha portato al fallimento dell'economia socialista, che in genere porta ad un impoverimento collettivo. In effetti finiva per ridursi di fatto ad una economia di mercato in cui solo pochi eletti decidevano per tutti.

La prima, poiché non prende in considerazione necessità che non generino profitto, viene di solito appesantita da correttivi burocratici che la rendono simile alla seconda.

In realtà l'economia di mercato non è in grado di regolarsi da sola, con buona pace dei vari Say, Friedman ed altri economisti che hanno teorizzato le leggi del mercato.

Laddove si è lasciato che il mercato regolasse se stesso i risultati hanno portato sempre ad un oligopolio, se non un monopolio, che poi richiede penosi tentativi a livello giuridico e legislativo per essere almeno in parte corretto.

In America, da sempre laboratorio di ogni forma di liberismo economico, già da molti decenni si è creata una istituzione, l'antitrust, che da noi fino a poco tempo fa era sconosciuta, a dimostrazione che se si intende il libero mercato come un terreno di scontro, finisce sempre con un trust, un vincitore o un gruppo di vincitori, che fa strage dei concorrenti.

In America lo chiamano il gioco del gorilla, quando una azienda fa di tutto, spesso indebitandosi fino al collo, per eliminare la concorrenza e restare la sola sul mercato.

Apparentemente la clientela sembra avvantaggiarsene perché i prezzi crollano, ma successivamente l'intera società si impoverisce.

Negli Stati Uniti nel 1978, prima che il presidente Carter firmasse il Liberalization Act, esistevano 36 compagnie aeree che si spartivano il mercato e prosperavano in un regime controllato. Dieci anni più tardi le compagnie erano diventate quasi trecento in una situazione generale parecchio confusa. Pochi anni dopo erano rimaste solo quattro o cinque maxi compagnie tutte in cattive acque.

Il concetto di antitrust è di per sè ridicolo. Dapprima, teorizzando la concorrenza ad ogni costo, si lascia che le aziende si autodistruggano lasciando sopravvivere solo i giganti. A questo punto un organismo esterno, l'antitrust, improvvisamente si sveglia e interviene, da una parte impedendo alle aziende di continuare ad ingrandirsi finendo di distruggere i concorrenti e dall'altra vietando loro di accordarsi. In pratica da una parte impedisce la concorrenza e dall'altra la obbliga, il tutto senza regole certe, ma basandosi caso per caso su concetti fumosi.

Bella roba! Basta solo l'esistenza dell'antitrust a chiarire meglio di ogni altra cosa il fallimento del capitalismo.

Varie forme di governo nella storia dell'umanità tendono a portare un gruppo ristretto di persone ad un potere enorme nei confronti della maggioranza. Superate le monarchie e le dittature, anche capitalismo e comunismo hanno portato ad una distribuzione della ricchezza e del potere fortemente squilibrata. Eppure la storia insegna che le società che hanno prosperato nelle età dell'oro dell'umanità avevano tutte una forte classe media, che si spartiva le risorse in maniera quasi paritaria, senza sopraffazione, ma anche senza rinunciare alla libera iniziativa ed all'imprenditoria.

Il libero mercato va favorito, ma anche protetto.

La grande industria, la grande distribuzione, l'agricoltura latifondista, sempre osannata da economisti e sindacalisti, che sia generata da una lotta capitalista o da uno stato socialista, non fa differenza, porta un impoverimento e non un arricchimento. Cento anni fa esistevano in Italia oltre 8000 tipi di frutta, oggi sono meno di 3000 e ha tutto lo stesso sapore. Si fa un gran parlare di consumo equo e solidale per quel che riguarda il terzo mondo, ammettendo di fatto che le multinazionali causano la morte dell'economia locale. Quelle stesse forze politiche, con il solito strabismo, esaltano e ricercano invece il gigantismo delle aziende nazionali accusando la piccola imprenditoria di meschinità, di mancanza di coraggio, di capacità e, secondo equazioni scarsamente comprensibili, di essere la causa del disastro economico.

Il fatto è che finanzieri e sindacalisti pescano dallo stesso serbatoio il loro potere e la loro ragione di esistere, la vera colpa del piccolo produttore, o commerciante che sia, è di dare poco da rodere a finanzieri ed arruffapopoli.

I sindacati e le borse valori nascono in contemporanea alla grande industria e sanno benissimo di essere indispensabili le une agli altri e quindi, anche se apparentemente sembrano in conflitto, si sostengono a vicenda, con buona pace della lotta di classe e delle altre stupidaggini.

Oggi, in Italia e nel mondo, c'è bisogno sempre più di ritornare al predominio della classe intermedia, quella che realizza e distribuisce la vera ricchezza materiale delle nazioni, e non quella aleatoria della finanza.

Bisogna quindi legiferare in funzione di favorire una maggiore distribuzione dell'iniziativa privata, frenando il gigantismo, anziché favorirlo.

Chi apre una bottega si espone ad ogni genere di rischio e forse sono più i suoi nemici legali che quelli illegali. Le normative e le scadenze sono così complesse che deve per forza affidarsi a degli specialisti. Gli adeguamenti sono spesso identici per il gelataio o il meccanico, che per la grande industria alimentare o metallurgica.

Un'azienda con mille dipendenti non ha grossi problemi ad individuare un responsabile delle norme antinfortunistiche, per una azienda con due dipendenti è un costo pesante. Per una grande industria l'omologazione di un prodotto a norme CE è un normale investimento, mentre per una piccola officina è un costo intollerabile.

L'accesso al credito, soprattutto quello agevolato, è un'autostrada per le grandi aziende, mentre è una pesante via crucis, che spesso porta alla morte, per il piccolo imprenditore.

Se qualcuno proponesse di sgravare dai carichi previdenziali assistenziali e magari anche fiscali i lavoratori delle aziende con meno di tre dipendenti, milioni di lavoratori in nero emergerebbero e si creerebbero immediatamente milioni di altri posti di lavoro. Nonostante la creazione di posti di lavoro sia spesso sbandierata come una priorità da tutte le forze politiche, una simile proposte causerebbe levate di scudi compatte sia da parte dei sindacati che da parte dei grandi industriali, dimostrando così, se mai ce ne fosse bisogno, che stanno dalla stessa parte.

Pensate quanto sarebbe più semplice la vita del piccolo imprenditore se potesse semplicemente pagare i propri dipendenti, come avviene in America, e questi provvedessero in proprio al pagamento degli oneri sociali, quali che siano. Ma anche in questo caso ci sarebbe un muro di opposizioni ancora più ampio, pretestuosamente a difesa degli interessi dei dipendenti, in realtà a difesa del sistema parassitario e per molti buoni motivi, dal suo punto di vista.

Eppure è proprio la piccola impresa il vero motore dell'economia delle nazioni, la migliore garanzia per una buona, seppur non perfetta, distribuzione del reddito. Lo è sempre stato, fin dalla notte dei tempi e lo sarà di nuovo quando questo sistema marcio, fatto di ricchezze inesistenti, inevitabilmente crollerà.

La legge di Wilcoyote 10 - Le tasse e l’evasione fiscale

Il concetto di tassa sembra ormai talmente incrostato nella mentalità delle nazioni occidentali a tutti i livelli che necessita più di una riflessione.

Intanto non è importante quanto lo Stato debba prelevare dalle tasche dei cittadini, l'importante è cosa deve o vuole farci.

Il controllo sull'utilizzo delle tasse e quindi sulla congruità delle medesime è ormai pressoché impossibile per il cittadino medio, che quindi non può che fare riferimento a quanto dicono i partiti politici. Ma i partiti politici, soprattutto in Italia, sono troppo coinvolti, sia perché sono direttamente o indirettamente sovvenzionati proprio dalla spesa pubblica, sia perché sono essi stessi che la gestiscono attraverso le pubbliche amministrazioni che controllano. Non si tratta solo di chiedere al cuoco come si mangia nel suo ristorante: la necessità delle tasse è ferocemente sostenuta da chi ne beneficia maggiormente e che sbandiera la pubblica utilità delle medesime e le ricadute benefiche sulla gente, ricadute sempre filtrate da una burocrazia complessa che costa più dei benefici.

Una delle convinzioni di gran parte della sinistra e non solo di quella, è che le tasse abbiano la funzione di ridistribuire il reddito della nazione. Questa è una pericolosa ed anche pelosa illusione.

Concepire le tasse come una forma di giustizia sociale non può portare che a dannose manovre, visto che chi governa una tale giustizia non è affatto imparziale e disinteressato, né si può sperare che lo sia, la "ridistribuzione" finirà ovviamente per favorire gli amici degli amici. Dare a qualcuno un simile potere è un pericolo per la società e non è affatto una necessità. Lo Stato deve occuparsi di gestire i rapporti fra i cittadini e garantire quei servizi di pubblica utilità che non possono essere privatizzati per antieconomicità o per conflitti di interesse.

Il sistema fiscale, in Europa, è modulato principalmente sul cosiddetto "sistema bismarckiano", dal cancelliere prussiano Otto Von Bismarck, che lo impostò nell'800.

In pratica la protezione sociale è legata al mondo del lavoro, il lavoro diventa elemento centrale dello stato sociale e viene pesantemente tassato come forma di previdenza. Tra i difetti di questo sistema, che forse andava bene nell'800, molto meno oggi, c'è quello di escludere i non lavoratori, minorenni, handicappati, disoccupati, pensionati, dal sistema e di farne quindi delle zavorre sociali.

Un altro difetto è che le tasse gravano principalmente sul lavoro, al contrario di quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti, e quindi si paga per lavorare. E nessuno ci trova niente di strano.

Ma non è questo l'unico modo in cui lo Stato grava sui cittadini, particolarmente nel Bel Paese, dove la fantasia nostrana si grandemente sbizzarrita in campo fiscale.


Le tasse in Italia sono prelevate in maniera così perversa e contorta e mascherate in ogni modo, definite imposte dirette, indirette o tasse sui servizi, che è ben difficile rendersi conto non solo del loro successivo utilizzo, ma persino del loro reale ammontare. Senza contare i prelievi che la pubblica amministrazione effettua sotto forma di multe o sanzioni amministrative, per il mancato rispetto di norme create proprio al solo scopo di estorcere altro denaro alla gente.

Avete mai fatto caso a quante tasse pagate?

Sono "tasse", chiamiamo così tutte le forme di prelievo fiscale per semplicità, non solo le imposte dirette, IRPEF e IRPEG, cioè le tasse sulle persone, quelle che in teoria dovrebbero servire a "ridistribuire il reddito", ma anche i versamenti INPS, INAIL, che dovrebbero essere il corrispettivo di un servizio, così come i francobolli, le marche, le imposte di registro, i parcheggi a pagamento, ecc.. Sono tasse sul consumo l'IVA , l'IRAP, le imposte sui carburanti e sulle sigarette, sui rifiuti, sulle importazioni, il canone televisivo, il bollo auto,. Sono tasse sul risparmio quelle sui depositi bancari e sugli investimenti. Poi ci sono le tasse sulla casa, ICI in testa, che pare particolarmente iniqua se viene applicata alla prima casa. Sono tasse anche il

costo dei servizi pubblici, acqua ,autobus, servizi cimiteriali. Incerta collocazione hanno le spese processuali, che sono comunque prelievi dalle tasche del cittadino. Il termine "ticket", che in inglese vuol semplicemente dire "biglietto" è passato in italiano ad indicare un altro fantasioso balzello.

Non c'è un solo aspetto della nostra vita, dal riposo, al lavoro al divertimento, alla malattia ed alla morte che non sia pesantemente tassato. Persino il gioco d'azzardo è tassato. Quanto alla scuola non ci solo le tasse scolastiche dirette, ma anche il costo dei libri e dei necessari orpelli, sempre più stratosferici che, essendo la scuola obbligatoria, sono di fatto altre tasse.

Aggiungiamo pure le varie forme di richiesta fondi da parte di infinite onlus, associazioni di volontariato non a scopo di lucro. Non sono certo tasse, ma poiché le onlus vanno a coprire carenze dello Stato o a fornire servizi che non vengono forniti, di fatto sono altri soldi che devono essere versati per il funzionamento della collettività.

Non dimentichiamoci delle multe e delle sanzioni amministrative, soprattutto quelle automobilistiche, che talvolta nascondono dietro il concetto punitivo per inadempienza contrattuale, semplicemente un prelievo extra, a sorteggio, per usi di bilancio locale.

A quanto ammonti l'imposizione fiscale in percentuale sulla rendita di un cittadino è oggetto di dibattito, in genere si parla del 50%, ma questo è falso perchè conta solo le imposte sul lavoro, IRPEF e INPS in testa, ed è esclusa l'IVA. Il totale supera certamente il 60%. e forse anche il 70%. Inoltre poiché anche il prelievo fiscale è in qualche modo collegato al PIL ed alle sue distorsioni, il reale peso delle tasse sull'economia e sulla vita quotidiana è tutto da appurare.

Quanto allo spreco delle pubbliche risorse questo viene nascosto dai grotteschi calcoli macroeconomici basati sul PIL e sui principi ad esso collegati e, a sua volta, nasconde il fatto che in realtà il prelievo fiscale ha come scopo principale quello di pagare gli interessi sul debito pubblico, di cui si è già detto.

In effetti gli sprechi e la mala utilizzazione della spesa pubblica, spesso enfatizzati, secondo i principi keynesiani, dovrebbero comunque produrre ricchezza. Le scelte su come utilizzare il denaro pubblico sono squisitamente politiche e certamente degne di rilievo. Per esempio vale la pena di discutere se e quanto sia meglio destinare cifre considerevoli al recupero di tossicodipendenti, e quanto poco invece alle vittime di incidenti stradali. Oppure prendere atto che mantenere in carcere un delinquente costa molto di più alla comunità che mandarlo con tutti i secondini e le loro famiglie a Sharm-el-Sheik, in un hotel a cinque stelle, con corso di sub e gita in cammello compresi. Non menzioniamo poi gli innumerevoli casi di sprechi della sanità e della scuola. Tutto questo è in ogni caso, che si sia d'accordo o meno con Keynes, assai meno grave del fatto, accuratamente nascosto, che gran parte del prelievo fiscale finisce in cassa alle banche, a pagamento di un debito eterno e sempre più grande.

Un'altra considerazione importante è che le imposte dirette pagate dai dipendenti pubblici nonché i versamenti INPS, INAIL ecc ,vengono calcolate nel novero complessivo delle imposte, ma non rappresentano in realtà un vero trasferimento di ricchezza a favore dello Stato, ma semplicemente un minore esborso di spesa pubblica.

Se consideriamo inoltre che la grande industria spesso usufruisce (ed è l'unica a poterlo realmente fare) degli sgravi fiscali e degli altri benefici dei cosiddetti ammortizzatori sociali, possiamo tranquillamente affermare che gli unici che forniscono moneta sonante alle casse dello Stato sono la massa di piccoli commercianti, artigiani, professionisti e piccola imprenditoria in genere, solitamente additati al pubblico ludibrio come evasori e vera causa del malessere economico della nazione.

La caccia all'evasore è infatti sempre più simile alla medievale caccia all'untore che causava le pestilenze. In un sistema tributario stritolante come quello attuale la lotta all'evasione non solo è irrealizzabile, ma è anche controproducente perché gran parte dei contribuenti reali, cioè quelli poco sopra elencati, possono sopravvivere solo dribblando in qualche maniera le normative, e non solo quelle fiscali. Aumentare la stretta non comporta necessariamente un aumento delle entrate, il più delle volte aumenta solo i contenziosi, e causa la chiusura di parecchie attività che stanno a malapena a galla, con conseguente riduzione del gettito fiscale e aumento dei costi sociali.

Eppure è enorme la grancassa che si fa per additare al popolino il nemico nascosto nell'ambulante disonesto o nel tassista esoso, quali cause del tracollo economico. Particolarmente grottesca è stata la polemica, tutta italiana, in seguito all'introduzione dell'euro, volta ad accusare proprio queste categorie degli enormi problemi

economico-finanziari causati alla nazione dal cambio di moneta e soprattutto dalla perdita di possibilità di gestione della medesima. Tutti i partiti hanno scelto o di negare che esistessero problemi o di accusare i venditori di verdura di speculare sul prezzo delle patate e/o le autorità di non aver accuratamente vigilato e perseguito questi cialtroni, affamatori del popolo. Lo stato confusionale in cui vivono ormai gli italiani ha fatto sì che molti ci credessero davvero.

Negli anni sessanta e ancora in parte negli anni settanta era possibile, di tanto in tanto, effettuare una stretta fiscale sul piccolo commercio, perché questo aveva margini abbastanza ampi per sopravvivere. Oggi è talmente schiacciato da imposizioni burocratiche e fiscali, che non può più nemmeno permettersi il lusso di tentare di corrompere i funzionari che accertano i reati. Persino la malavita ha ormai smesso di taglieggiare i commercianti per dedicarsi ad attività più lucrative.

Abbiamo raggiunto una moralizzazione di massa per scarsità di risorse..

Bisogna inoltre considerare il costo per estorcere ai cittadini tutti questi danari, in maniera così farraginosa. Questo costo è anch'esso a carico dei cittadini, che devono pagare degli specialisti per poter pagare correttamente le imposte di cui vengono gravati, basti pensare ai meccanismi contorti delle esenzioni. Nonostante questo resta comunque un costo elevato a carico dello Stato che utilizza decine di migliaia di dipendenti ed enormi risorse per dare la caccia ai famigerati "evasori".

L'abolizione dell'intero Ministero delle Finanze probabilmente darebbe un risparmio molto superiore e certo alle presunte maggiori entrate della cosiddetta lotta all'evasione.

Considerato quello che gli italiani pagano in tasse e in spese per pagare le tasse, possiamo dire di vivere in una forma sociale che, senza essere capitalismo e meno che mai libero mercato, è il capovolgimento del socialismo. Nel socialismo tutti lavorano per lo Stato e lo Stato paga i cittadini, nell'"italianismo", i cittadini lavorano per conto proprio e danno tutti i loro soldi allo Stato.

sabato 21 marzo 2009

La legge di Wilcoyote 9 - Economia e finanza

Se definiamo economia l'insieme delle attività produttive e distributive di una nazione e per finanza la fornitura di risorse monetarie che l'economia richiede, si definisce automaticamente la dipendenza della prima dalla seconda. La finanza in realtà dovrebbe essere solo uno degli aspetti dell'economia, invece è assurta a entità propria e addirittura padrona incontrastata dell'insieme di cui dovrebbe far parte. La finanza fornisce i mezzi all'economia e stabilisce i ritmi e i tempi in cui l'economia dovrebbe funzionare. E' la finanza che, assurdamente, stabilisce il valore dell'economia.

L'esempio più evidente è il mercato azionario, dove le aziende sono sopravvalutate rispetto a quanto producono. Il valore complessivo delle azioni di una S.p.A. quotata, supera di dieci, venti ed anche più volte il fatturato annuo della medesima (sul mercato americano si arriva anche a diecimila), il che è un po' come dire che una cartoleria che fattura 60.000 euro all'anno, ne vale da 600.000 in su. La cosa più sorprendente è che questa stima muta di valore in continuazione, da un giorno all'altro, addirittura da un minuto all'altro e il più delle volte senza una ragione concreta evidente.

La gente si è abituata a questa follia e non ci trova niente di strano, anzi nei momenti di euforia, in cui la Borsa sale indistintamente, partecipa in massa alle operazioni finanziarie, contenta sia dei guadagni che della sensazione di essere al timone dell'economia.

I movimenti finanziari fanno parte del bilancio di molte imprese, anzi le maggiori hanno creato divisioni finanziare apposite e spesso le hanno separate dal corpo dell'azienda. Queste poi, oltre a speculare sul mercato esterno, acquistano ampie quote della casa madre e addirittura la finanziano. Il sistema delle holding fa si che un'azienda spezzetti i suoi rami produttivi in numerose, talvolta anche decine, aziende indipendenti che si possiedono, almeno in parte, a vicenda, aggiungendo anche aziende, di fatto, totalmente improduttive il cui fatturato è dato dalla gestione del fatturato altrui. Il risultato è una moltiplicazione del valore apparente dell'intera struttura ed una ottimale ripartizione degli importi contabili. Queste aziende pagano, se li pagano, dividendi ridicoli in rapporto al valore delle azioni e possono spostare a piacere profitti e perdite da una parte all'altra sia per ridurre le imposte, sia per drenare liquidità sul mercato. Gli utili infatti non vengono dalle attività di produzione e vendita, ma dalle plusvalenze azionarie.

Ipotizziamo una società, facciamo un esempio con cifre di fantasia, che produce un bene reale, diciamo bulloni, che vale un milione di euro, ne fattura altrettanti all'anno e ne ricava centomila, dopo averne pagato cinquantamila di tasse . Trasformandosi in una holding e per l'effetto moltiplicatore della Borsa, vale dieci o venti volte di più, non paga tasse perché risulta in perdita o in pareggio e i suoi azionisti possono, con spostamenti delle loro stesse azioni, prelevare anche un milione l'anno in plusvalenze. Poiché esistono numerosi altri strumenti finanziari, a cominciare dalle obbligazioni, su questa situazione si inseriscono speculatori di professione, generalmente istituzionali, cioè istituti di credito, fondi ecc, che ricavano utili unicamente dall'attività finanziaria.

In pratica dai centomila euro guadagnati fabbricando bulloni, una enorme struttura parassitaria può arrivare ad accumulare utili di gran lunga superiori, non solo al valore dei bulloni ma anche dell'azienda che li produce.

Secondo i sostenitori del sistema questo è un bene perché genera ricchezza e fa da volano all'economia. Quanto sia effimera questa ricchezza lo dicono inconsapevolmente i giornalisti quando, in seguito ad una giornata borsistica negativa, dichiarano che sono stati bruciati un certo numero di miliardi. Questi miliardi non esistono, così come non esistevano prima, ma come nell'esempio di Wilcoyote, basta comportarsi come se esistessero per dargli consistenza. Quindi, se la Borsa andasse sempre bene, tutti i problemi economici sarebbero risolti. Il guaio è che la Borsa non può sempre crescere ed ha bisogno di cali periodici, che talvolta si tramutano in crolli, affinché gli investitori possano drenare utili consistenti. Gli speculatori professionali lo sanno e vogliono tenersi aperte le vie di fuga, per questo hanno bisogno di poter operare su diversi mercati, in modo da poter scappare come lepri al primo segno di crisi verso lidi migliori.

I movimenti in massa di capitali, di qua e di là per il mondo, in modo isterico ed incomprensibile, causano scompensi sempre più devastanti ai Paesi coinvolti e non hanno quasi mai realmente a che vedere con la situazione produttiva dei vari Stati.

Questi capitali vaganti sono generalmente internazionali, una gran quantità è di origine e controllo USA, ma molti sono anche i capitali europei, giapponesi, cinesi, arabi, russi tutti accomunati dal parassitico sfruttamento delle risorse dei vari Paesi.

La globalizzazione facilita gli spostamenti di capitale da una economia produttiva all'altra e non a caso i principali fautori di essa sono uomini al servizio del sistema finanziario.

La classe politica vive nell'incubo dell'abbandono dei capitali stranieri e, nelle priorità nazionali, attrarre e mantenere queste capricciose fortune è uno dei punti principali e diventa una corsa a proporre tassi di sconto elevati o una crescita galoppante del PIL, che garantisca rendite al capitale.

A questi non interessa affatto la qualità dell'investimento, patate o pneumatici fa lo stesso, basta che sia redditizio e solo finché è redditizio. In pratica gli sforzi della classe politica, di qualunque Stato e di qualunque colore, vertono ad allettare le masse monetarie e non le masse di cittadini, che anzi vengono spesso chiamati a "sacrifici" per il bene del capitale.

La crisi della finanza viene poi pagata dall'economia produttiva, con le solite politiche di "rigore", di "risanamento" che sempre seguono le euforie borsistiche, fino al prossimo momento di entusiasmo. Gli economisti dibattono sugli errori fatti e sugli interventi da fare per rilanciare il Paese, il quale deve riscattarsi da non si sa bene quali colpe e quindi deve espiare. Inutile dire che chi paga il conto è sempre il ceto medio-basso, che si appiattisce sempre più verso il basso.

Un Paese in cui l'economia dipende totalmente dalla finanza è e resterà sempre esposto a qualunque tipo di eccesso di speculazione, perché la finanza è speculazione e non ha meccanismi efficaci di controllo, con buona pace degli economisti.

L'economia infatti, nonostante tenti di travestirsi da scienza esatta, è solo una figlia bastarda della filosofia. E' vero che anche Platone, Aristotele, S.Tommaso d'Aquino, Hume, Locke, solo per citarne alcuni, toccano problemi economici, ma solo ad integrazione di concetti più ampi. Il mondo economico comincia a staccarsi da quello reale alla fine del seicento con la creazione della prima banca centrale, la Banca d'Inghilterra nel 1694. Prima i banchieri erano solo dei prestasoldi. Esistono varie scuole di pensiero economico tutte più o meno fallaci, eppure gli uomini più importanti dei governi sono quelli che si occupano di finanza, a cominciare dal ministro del tesoro, che in realtà dovrebbe essere solo un ragioniere. Sempre più spesso i principali uomini di governo provengono dall'area finanziaria, legata al potere bancario, che ormai oltre a controllare (si fa per dire) l'economia, controlla sempre più anche la politica. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui la gente si disinteressa di politica, perché la ormai la politica fa solo gli interessi delle banche, cercando di far credere che quelli siano gli interessi di tutti.

Si dice che soldi facciano girare il mondo e la gente ha finito per crederci, ma non è così. Le cose che facciamo si fanno anche per amore, orgoglio, paura, vergogna, rabbia, esaltazione, fanatismo, vendetta, altruismo, curiosità, spirito d'avventura, desiderio sessuale, odio, insoddisfazione, rivalsa, senso di giustizia, autocompiacimento, sadismo, masochismo, ansia, istinto di sopravvivenza e mille altri sentimenti ancora. E' angosciante pensare che esistono ometti grigi che pensano di muovere le nazioni e l'umanità che ci vive dentro, modificando le tasse, i consumi, gli investimenti, in una sorta di grottesco Monopoli, secondo regole che non funzionano mai.

La legge di Wilcoyote 9 - L'euro

Con l'entrata in vigore nell'euro nel 2002, l'Italia si è trovata ad affrontare la più improvvisa svalutazione della sua storia. Il potere di acquisto si è ridotto di botto del cinquanta per cento. Anche se l'euro ufficialmente venne quotato a poco meno di duemila lire, in realtà ne valeva mille.

Questo venne imputato sulle prime a scarsa padronanza del nuovo conio, accusando soprattutto le persone anziane di essere troppo imbecilli e di farsi fregare.

In un secondo momento sono stati incolpati, come al solito, i piccoli commercianti, soliti capri da accusare di ogni traballamento economico, per nascondere le vere responsabilità.

E' ridicolo pensare che un collasso come quello degli anni 2003-2005 potesse essere causato solo dall'ambulante che ha speculato sul prezzo delle patate, ma quando una balla viene ripetuta molte volte ed

anche da fonte autorevole, diventa una mezza verità o, come dice J.A. Ullate Fabo, nel suo "critiche al codice Da Vinci", non diventa verità ma aumentano le persone ingannate.

Molti degli stessi accusati finirono per crederci e se la presero con i colleghi disonesti, un po' come avveniva nei processi dell'Inquisizione.

L'euro è stato creato prendendo una unità fittizia chiamata ECU a cui aderivano i Paesi della comunità europea. Molti dei quali non aderivano e non aderiscono all'Euro, e che era formato da percentuali e valori diversi a seconda del Paese. Ad una certa data ed una certa ora (il 31 dicembre 1998 alle 11,30 ora di New York) venne rilevato il cambio di ogni singola moneta nei confronti del dollaro: Questi cambi vennero moltiplicati per il peso percentuale che la valuta aveva nell'ECU, una parte non trascurabile del quale era composto da monete non aderenti all'Euro, e sommandoli insieme si ottenne il valore dell'ECU, che dal 1 gennaio 2002 si trasformò in Euro.

All'epoca un dollaro valeva 1660 lire, 1,676 marchi tedeschi, 5,622 franchi francesi, 142,660 pesetas spagnole, 0,602 sterline inglesi e 8,135 corone svedesi. Queste ultime due insieme alla corone danesi non facevano e non fanno parte dell'euro. In aggiunta nell'euro entrarono Austria e Finlandia che non facevano parte dell'ECU.

L'ECU era così composto:

  • 0,6242 Marchi tedeschi

  • 1,332 Franchi francesi

  • 0,08784 Sterline inglesi

  • 151,8 Lire italiane

  • 0,2198 Fiorini olandesi

  • 3,301 Franchi belgi

  • 0,13 Franchi lussemburghesi

  • 0,1976 Corone danesi

  • 0,008552 Sterline irlandesi

  • 1,44 Dracme greche

  • 6,885 Pesetas spagnole

  • 1,393 Escudos portoghesi

La presenza di 0,08784 sterline inglesi non è trascurabile; significano all'interno dell'Euro 0,14591 dollari, mentre l'Italia conta solo per 0,09144 dollari cioè poco più della metà, mentre il marco tedesco conta per 0,37243 cioè due volte e mezza la sterlina, quasi quattro volte in più della lira italiana e oltre un terzo dell'insieme. I francesi si accontentano 0,23692, cioè due volte e mezza la lira e poco più di metà del marco. Tutte insieme sommate indicavano quanti dollari ci volevano per fare un euro, cioè 1,187 il 15 dicembre 1998, diventato 0,8920 il 1 gennaio 2002, primo giorno di entrata in vigore della nuova valuta Insieme Marco e Franco superano il 50% del valore dell'Euro mentre un 18% è dato dal valore di monete con appartengono all'Euro.

Nelle stesso periodo (15 dicembre 1998 / 1 gennaio 2001) la sterlina passa da 1.68680 a 1.45570, cioè mentre l'euro perde il 25% la sterlina perde solo il 14% rispetto al dollaro, in momento in cui l'economia inglese non è più forte di quella tedesca. Questo a patto di voler ammettere, cosa altamente discutibile anche da parte degli economisti, che la crescita di una moneta sia un riflesso dell'incremento dell'economia di un Paese.

Ma questi sono solo giochetti di cifre cari ai finanzieri, la cui apparente complessità è come il "latinorum" di don Abbondio. Il fatto è che intortando la gente con miti aulici di età dell'oro, di libertà di circolazione, di stabilità economica il potere finanziario ha legato i cittadini europei a un carretto pesante da trascinare, impoverendo le popolazioni e portando benefici ad una cerchia sempre più ristretta di privilegiati.

Le banconote vengono emesse dalla BCE o dalle banche centrali su istruzione della BCE e non hanno nemmeno un numero di serie ma solo un codice identificativo nazionale. In pratica nessuno sa quante sono.

I requisiti per appartenere a questo club di eletti, sanciti dagli accordi di Maastricht sono i seguenti:

  • un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo;

  • un rapporto debito/PIL inferiore al 60%;

  • un tasso di inflazione non superiore a 1.5 punti percentuali sopra quello medio dei tre stati membri a più bassa inflazione;

  • tassi d'interesse a lungo termine non superiori di 2 punti percentuali rispetto alla media dei tre stati membri a più bassa inflazione;

Come si vede il criterio di base per valutare la virtù delle nazioni è il meraviglioso PIL, di cui si è già detto: Quanto all'inflazione è un dato statistico e come tale facilmente influenzabile e interpretabile.

Proprio in seguito all'introduzione dell'euro molti hanno cominciato seriamente a dubitare dell'attendibilità dei dati ISTAT e poco importa che essi siano regolarmente confermati dagli istituti europei di statistica visto che lo stesso ISTAT a fornire i dati da elaborare.

Per quel che riguarda i tassi di interesse, quelli minimi sono stabiliti dalla BCE ed influiscono ovviamente anche sul debito pubblico dei vari Stati. La preoccupazione che uno Stato offra titoli pubblici ad interessi alti per attirare capitale straniero è tipica della mentalità finanziaria e solo per questo motivo deve essere stata inserita. I Gatti e le Volpi non si fidano a vicenda. A distanza di qualche anno e fuor di polemica si può affermare che l'euro ha di fatto portato i costi di Italia, Grecia ed altri Paesi considerati deboli agli stessi livelli di Francia e Germania, con la differenza che Francia e Germania avevano una economia adeguata, l'Italia no.

Fare finta di essere grandi ha avuto un costo altissimo, pagato come al solito dalle fasce deboli, in termini di perdita di competitività all'interno della stessa Europa. Per poter entrare nel primo gruppo di monete che aderivano all'euro gli italiani sono stati stritolati di tasse per rientrare nei parametri, che non sono affatto verbo divino, ma delle semplici convenzioni valide fino alla convenzione successiva. La carota sventolata sotto il naso era il benessere della Germania, di cui noi italiani avremmo furbescamente approfittato senza in realtà meritarlo.

La presunta furbizia che gli italiani si illudono di avere è uno dei motivi per cui cascano spesso in queste trappole.

La sperata riduzione dei costi energetici non c'è stata, anzi le bollette di luce, gas e carburanti vari sono più che raddoppiate, insieme ai costi, già inaccettabili della mostruosa burocrazia italiana e quelli di una pressione fiscale più elevata di Francia e Germania, hanno messo in ginocchio le aziende produttrici italiane, soprattutto di piccole e medie dimensioni. Una dopo l'altra hanno chiuso o si sono drasticamente ridimensionate. Nella classifica del turismo siamo scivolati dal 1° al 5° posto dei Paesi più visitati al mondo.

Il danno più concreto però è stato senza dubbio la definitiva perdita della sovranità della moneta. L'euro sarebbe un'ottima cosa se si limitasse ad essere una unità di misura, come il metro o il litro. Oppure se fosse la moneta di un governo europeo.

Questo è l'inganno che fa credere a molti, che si pensano illuminati e lungimiranti, che sia un evento positivo. Del resto la via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni. Gli aspetti positivi vengono sempre molto enfatizzati. E' sicuramente bello avere una moneta unica che non generi problemi di cambio alla frontiera e che sia stabile e forte e possa addirittura essere un contraltare o una alternativa del dollaro. L'esperienza dell'inflazione a due cifre degli anni settanta e l'invidia verso chi poteva vantare una moneta stabile, come la Svizzera e la Germania, ha portato gli italiani, senza valutare cause e ragioni, a sposare con entusiasmo la nuova moneta e convincersi, contro ogni logica che abbia portato dei reali benefici.

Del resto non si sono nemmeno accorti che nessuno ha mai chiesto il loro parere.

In principio l'euro si svalutò quasi in caduta libera rispetto alla quotazione iniziale passando da 1,17 a 0,85.Questo da una parte favorì molto la Germania e in misura minore la Francia e impedì agli italiani di rendersi subito conto di che razza di bidone fosse. In questo aiutati molto dall'establishment, bipartisan sia pure con sfumature, che non ha perso occasione di segnalare quanto fortunati fossimo ad avere l'euro e quanto male staremmo se non lo avessimo. L'argomento principale è che la sua rivalutazione sul dollaro ci consente di acquistare il petrolio a minor prezzo. Su questo ci sarebbe molto da dire. In primo luogo, come si è ricordato per oltre un anno l'euro si è svalutato nei confronti del dollaro e quindi abbiamo pagato il petrolio di più. Poiché però ci hanno sempre detto che l'economia italiana è debole e sbilanciata per necessità di acquistare materie prime all'estero, nessuno dubita che se nel 2002/2003 l'euro si è svalutato anche la lira si sarebbe svalutata.

Quindi se l'euro si svaluta, la lira si sarebbe svalutata di più, mentre se l'euro si rivaluta, sicuramente la lira non si sarebbe rivalutata. Sulla base di questa logica ferrea siamo molto fortunati a stare con le economie forti d'Europa. Il complesso d'inferiorità degli italiani è sicuramente l'argomento migliore a favore dell'euro.

Inoltre il prezzo del petrolio al barile è quanto di più effimero e falsabile ci sia, oggetto di ogni genere di speculazioni. Senza contare la particolare situazione italiana per cui al crescere del costo del petrolio cresce inevitabilmente il prezzo dell'energia, mentre non avviene mai il contrario. Attualmente uno dei più grandi importatori di petrolio è la Cina, la cui moneta non è sotto il controllo di alcuna autorità monetaria ed è tenuta artificialmente bassa. Inutilmente gli Stati Uniti, la FED ed altre autorità hanno cercato di convincere le autorità di Pechino ad aumentare il valore dello Yuan.

La moneta è il punto di forza basilare delle esportazioni cinesi in tutto il mondo e della crescita galoppante dell'economia cinese. E ben poco importa se devono pagare il petrolio con una moneta svalutata. Del resto anche il petrolio non viene acquistato al prezzo di mercato ma con scambi ed accordi politici tra i governi. La Cina rappresenta un mercato troppo ghiotto per le economie occidentali, per cui sono disposte a dimenticarsi non solo che lo Yuan è sottovalutato, ma anche che la Cina è un Paese sottoposto ad una feroce dittatura e che non riconosce i diritti dell'uomo, pratica la tortura, incarcera senza processo ed uccide i dissidenti. Con argomenti simili gli stessi Stati Uniti ritengono dover applicare un embargo alla vicina Cuba.

Del resto l'Arabia Saudita, Paese non democratico sottoposto alla rigida legge islamica integralista, dove è severamente vietato professare altre religioni, viene considerato "moderato".

Questo è il guaio di lasciare fare alla finanza le valutazioni politiche, i buoni e i cattivi sono coloro con i quali si possono o non si possono fare affari.

Tornando all'Euro i suoi presunti benefici non solo non sono dimostrabili, ma sono di gran lunga inferiori ai suoi danni. Per poter aderire all'Euro bisogna rispettare dei rigidi parametri, fissati dagli accordi di Maastricht e che si basano sui concetti di PIL e debito pubblico, della cui assurdità abbiamo già detto. I nostri padroni assoluti si chiamano Duisenberg, Trichet , Almunia, ed altri oscuri personaggi, non eletti dal popolo e di cui la maggior parte delle persone poco o nulla sa, spesso nemmeno che faccia abbiano. Non passa giorno che questi personaggi lancino, moniti al nostro ed altri governi su come vada condotta la politica e soprattutto gestita la spesa pubblica.

Il contratto sociale con cui i cittadini della repubblica delegano i propri rappresentanti non vale più. Le regole le dettano i padroni della finanza e per meglio chiarire il concetto mandano i loro uomini in politica, per cui abbiamo questi servi oscuri del potere finanziario, cresciuti e nutriti dalle mammelle della chiesa dell'economia globalizzata ed alla luce del verbo della schiavitù finanziaria mondiale.

I Prodi, i Ciampi, gli Amato, i Padoa Schioppa sono in realtà sacerdoti di questa religione e ne sono al servizio. In veste di uomini politici, spiegano agli italiani, le loro verità rivelate e come sia assolutamente necessario fare sacrifici al fine di diventare completamente schiavi del potere bancario. Immancabilmente si danno ragione tra di loro e fingono labili polemiche con le banche centrali, ma sempre dichiarandosi d'accordo sui principi.

Con regolarità periodica ammanniscono cifre, spesso contestate, su economie che crescono, frenano, tirano, inflazioni che salgono, produzioni che rallentano, bilance che si sbilanciano e tante altre affermazioni che, in tutta onestà gli italiani non capiscono, né potrebbero capire.

Si limitano a fare il tifo per questa o quella parte politica in base alle simpatie personali, credendo alle "verità" degli uni e negando le "balle" degli altri e a fare il tifo per un "risanamento" che non arriverà mai.

Anche quelli che si dichiarano scettici sull'euro pensano che sia troppo tardi per tornare indietro dall'Euro. Non è così, l'umanità ha cambiato moneta in continuazione, non c'è niente di irreversibile, potremmo cambiare moneta domani, purché ci sia accordo, senza eccessivi problemi.

E' invece necessario uscire dall'euro per uscire dall'incubo finanziario dell'economia che deve crescere in eterno, che finirà per strangolarci. Questo perché bisogna assolutamente togliere la produzione del denaro dalle mani delle banche e restituirla allo Stato. L'euro è una moneta completamente fuori dal controllo di qualunque

Stato. Non si sa nemmeno quanti ne vengano emessi. Questa è una cosa che il sistema inanziario ha da tempo capito, rinnegando le proprie stesse teorie. Si può emettere

quanta moneta si vuole, basta che non si sappia in giro. Se Wilcoyote pensa che la moneta non valga niente questa non varrà niente, ma se continua a pensare che un biglietto di carta con scritto su "50euro" valga effettivamente 50 euro, va tutto benissimo. La legge di Wilcoyote è l'unica legge economica davvero valida sempre.

Ora se è lo Stato ad emettere moneta se ne avvantaggiano tutti, se sono le banche i risultati li possiamo vedere sempre più con i nostri occhi. Le banche prestano il nostro denaro a chi vogliono favorire e comprano aziende, che assumono persone, che votano uomini politici, anch'essi sempre più al servizio delle banche stesse, che spiegano come il lavoro sia il bene più prezioso e subire la schiavitù delle banche sia l'unico modo per garantirsi questa immensa fortuna. La commistione tra politica e finanza è ormai totale e l'unico modo per tornare indietro è riappropriarsi dell'emissione del denaro, senza emissione contestuale di titoli di debito pubblico.

Non si tratta di tornare alla lira, anche volendo non sarebbe possibile, visto che è stata quasi tutta distrutta dalla Banca d'Italia. Si tratta di far emettere una moneta, chiamatela come vi pare Lira, sesterzio, doblone che sia, direttamente dallo Stato che si attribuisca l'enorme guadagno del signoraggio e che la usi per fornire servizi ai cittadini senza bisogno di opprimerli con le tasse.